Il presidente americano Barack Obama ha annunciato alla nazione che invierà nei prossimi 6 mesi 30.000 nuovi soldati americani, già attivi entro l’inizio dell’estate, sul suolo afghano. 5.000 invece verranno forniti dagli alleati (1000 dall’Italia). Dal luglio del 2011 le truppe Usa cominceranno il loro ritiro dal paese asiatico ma entro tale termine dovranno raggiungere determinati obiettivi :
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respingere l’offensiva talebana,
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salvaguardare, promuovere e stabilizzare la giovane democrazia afghana
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garantire la sicurezza della popolazione civile
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intensificare l’addestramento delle forze armate afghane.
Sull’Afghanistan Obama si gioca così un pezzo della propria reputazione e credibilità : nel 2012 alle elezioni presidenziali l’insuccesso nel paese asiatico e l’incapacità di mantenere le premesse fatte potranno avere gravi conseguenze sulla sua campagna elettorale.
La guerra in Afghanistan sta d’altronde diventando la “guerra” di Obama così come quella in Iraq era stata la guerra del suo predecessore G.Bush. Un conflitto certo iniziato da altri ma che ora costituisce un problema e un’eredità spinosa pronta a esplodere nelle mani del nuovo presidente : o andarsene, e tutti avrebbero parlato di una sconfitta politica, militare e in termine di immagine, o rimanere, a costo tuttavia di un maggior impegno militare.
Obama ha scelto la seconda strada ma la scelta nasconde un insidioso pericolo : impegnarsi e rimanere intrappolati sempre di più nel difficile scenario afghano, proprio come successo in Vietnam negli anni 60 e 70. Di fronte alle sconfitte e difficoltà incontrate sul campo si cerca di rimediare aumentando il numero di soldati presenti sul territorio ma questo conduce al rischio di una nuova e pericolosa escalation militare.
La possibilità sembra essere scongiurata dal ritiro programmato delle truppe nel 2011 e in questo Obama è stato chiaro : o si raggiungono gli obiettivi prefissati o si torna (in teoria) a casa, decretando il fallimento dell’intera campagna militare e del progetto di esportare la democrazia nel paese afghano. In questi 2 insomma si gioca il futuro dell’Afghanistan (e, in parte, dello stesso Obama).
Il presidente americano comunque ancora una volta ha sembrato scontentare tutti, sia coloro che, come dimostrazione di un reale cambiamento rispetto alla politica estera di Bush, si aspettavano un rapido disimpegno dalla polveriera afghana come già accaduto in Iraq, sia coloro che invece pretendevano minor tentennamenti sulla questione.
E allora dalla riforma sanitaria alla lotta ai cambiamenti climatici, passando dalla guerra afghana, non è forse che il nuovo motto di Obama sia diventato No, we can’t?