City Island
Vince Rizzo, uno scava-vongole, come ama definirsi, quel tipo di persona che nata a City Island rimarrà a City Island fino alla fine, da generazioni. Non come quei mangia-cozze di New York che passano ma non costruiscono.
City Island è uno sputo di terra collegato alla grande Mela da un unico ponte che prosegue nell’unica via centrale dell’isola. Un vecchio villaggio di pescatori, reinventato a yacht club. Chi nasce a City Island, rimane a City Island, perché sa che quello è il suo paradiso.
Quella che avete letto sopra è – parafrasata – l’introduzione al film City Island, recitata – è il caso di dirlo – più di una volta dal protagonista Vince Rizzo, guardia carceraria e working class hero.
L’Italo-americano – finalmente un film dove gli attori mangiano la pasta, dopo il padrino, ovviamente – ha due figli, Vivian e Vinnie avuti con la bella moglie Joyce. Ma quella che all’apparenza è una famiglia “per bene”, in realtà si scoprirà essere un branco di persone schive e estranee, incapaci di potersi fidare gli uni degli altri.
Primo tra tutti Vince, amante della recitazione e col sogno recondito di diventare attore, non riesce a confessare a Joyce – donna dal carattere tutt’altro che accondiscendente – la verità. Invece di confessarle di prendere lezioni di recitazione preferisce raccontarle di andare tutte le sere a giocare a poker. Ovviamente Joyce non crede al marito, sospettando sempre più della sua infedeltà coniugale.
Anche Vivian e Vinnie nascondo i propri segreti e per questo tendono ad allontanarsi dai genitori, la ragazza studia al college, ma in realtà lavora nei sex club come lap-dancer, Vinnie invece ha un ossessione morbosa per le donne extralarge.
L’ipocrisia tra i familiari è ben rappresentato dal salutistico rifiuto della sigaretta di facciata, che in realtà cela il tabagismo ossessivo dei personaggi, che, per amore dello status quo, costringe Vince, Vinnie, Vivian e Joyce a ridicole fumate in incognito, sui tetti e negli anfratti nascosti della casa.
L’arrivo di Tony, ventenne galeotto e ladro d’auto, nonché figlio di una precedente – ed inconfessata – relazione di Vince, darà il la ad una serie di equivoci e parallelismi tra i protagonisti a metà tra la tragedia greca e la commedia happy-ending – passatemi il termine.
Scava-vongole
Bella prova comica di un Andy Garcia – Vince – tirato a lucido per l’occasione, impegnato nel ruolo dell’uomo di casa forte e virile, che in realtà coltiva passioni inconfessate per non sembrare vulnerabile agli occhi dei familiari.
Interessante il ruolo studiato per il figlio Tony – Steven Strait, protagonista di 10.000AC – nato orfano di padre e con una madre prostituta, alcolizzata e violenta, sembra il collante che è sempre mancato alla famiglia, l’unico personaggio che, conscio dell’importanza di poter contare su persone fidate, rinsalderà i rapporti della – propria – famiglia.
Sullo sfondo, la storia appena abbozzata di Molly, compagna al corso di recitazione di Vince e grillo parlante del pinocchiesco protagonista. Il fatto che lei dia consigli e Vince non ci pensi troppo prima di metterli in pratica ha del surreale, ma del resto è una commedia, ed in un modo o nell’altro alla fine di quei 100 minuti si devono chiudere tutte le trame aperte col “e vissero tutti felici e contenti” di rito.
Film godibile, leggero ma anche lievemente amaro, capace di regalare più di un ora di risate, imbastite con una trama “alla beautiful” che conquisterà lo spettatore fino alla fine. Da vedere la scena del provino per “un film con Martin Scorsese e Robert de Niro” a cui Vince partecipa, caratterizzato dalle espressioni e dalla gestualità tipiche dell’Andy Garcia d’annata.