Una nuova barriera sta per essere abbattuta, nel campo della produzione di energia solare.
Un gruppo di ricerca dell’Università di Stanford, in California, ha infatti sviluppato un metodo che permette di generare elettricità sfruttando simultaneamente la luce e il calore solare.
La tecnica si chiama Pete (acronimo per Photon Enhanced Thermionic Emission) e il suo obiettivo è tanto semplice quanto ambizioso: aumentare l’efficienza dei pannelli e ridurre i costi di produzione di energia solare a tal punto da renderla ufficialmente competitiva nei confronti del petrolio.
I risultati riscontrati dopo i primi test su Pete sono incoraggianti. Attualmente esistono due approcci per ottenere energia elettrica dal sole.
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I pannelli fotovoltaici (approccio quantico) producono una corrente elettrica sfruttando l’energia dei fotoni per eccitare gli elettroni di un semiconduttore (in genere, il silicio).
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I pannelli solari termodinamici (approccio termodinamico) invece utilizzano le radiazioni solari come sorgente di energia termica, che viene incamerata in speciali fluidi poi utilizzati per alimentare turbine a vapore.
Il sistema Pete riesce a sfruttare entrambi i processi. Il che dovrebbe essere impossibile, dal momento che pannelli fotovoltaici e termici lavorano a intervalli di temperatura radicalmente diversi (sopra i 100 gradi C°, infatti, il silicio perde le sue proprietà di semiconduttore e le celle fotovoltaiche cessano di produrre energia.)
Per sciogliere questo nodo, la squadra guidata da Nick Melosh ha sostituito il silicio con il nitruro di gallio - un semiconduttore capace di lavorare a energie più alte - poi, al fine di catturare anche quella importante porzione di energia solitamente persa sotto forma di calore, ha aggiunto un secondo strato metallico a base di Cesio, per aumentare ulteriormente la produzione di elettroni attraverso un meccanismo conosciuto come effetto termoionico.
Se gli ordinari pannelli fotovoltaici lavorano solo al di sotto dei 100 gradi centigradi, il nuovo prototipo raggiunge una buona efficienza solo al di sopra dei 200 gradi. Questo significa che potrebbe essere accoppiato ai concentratori solari parabolici - che possono raggiungere temperature di oltre 800 gradi - per ottenere efficienze mai raggiunte finora. Parliamo di un’efficienza di conversione che, stando alle previsioni dello stesso Melosh, si aggira intorno al 60%.
Una cifra importante considerando che, allo stato attuale, le celle fotovoltaiche arrivano a intorno al 20% e che i prototipi più avanguardistici invece raggiungono un picco del 40%.
Certo, nei primi test le celle a base di nitruro di gallio e cesio hanno dimostrato di poter garantire un’efficienza ben al di sotto della percentuale teorica. Melosh e colleghi di dicono tuttavia sicuri di poter raggiungere quota 60 utilizzando un altro semiconduttore - l’arseniuro di Gallio, ad esempio.