Ogni buona storia,
disse Gandalf,
ha bisogno di qualche abbellimento.
Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato
E se è lo stregone grigio a dirlo, bisogna crederci, anche se, nel caso dello Hobbit, più che un opera di abbellimento si potrebbe parlare di un esercizio di stretching da Guinness dei primati.
Singolare è la questione per la quale, agli inizi del secolo, un dimagritissimo Peter Jackson, applicata una portentosa dieta alle oltre 1200 pagine de “Il Signore degli Anelli”, ne ricava una trilogia cinematografica lunga una dozzina di ore nella sua versione estesa, tornando, 10 anni dopo, riespanso, ad aprire come una fisarmonica la trama de “Lo Hobbit”, stiracchiando le sue 300 pagine fino ad ottenerne un’altra trilogia da almeno 9 ore complessive. Magie che fanno sembrare trucchi da baraccone i fenomenali poteri dell’Unico Anello.
Tornando sul film, “Un viaggio inaspettato” prende piede lì dove iniziava anche “La Compagnia dell’Anello”. La contea, il compleanno dell’ultracentenario Bilbo Baggins e la scrittura di “There and Back Again”, le memorie dell’avventura che portò Bilbo a trovare l’Anello e che preparò il terreno per le avventure del giovane nipote Frodo.
La narrazione si sposta così a 60 anni prima, come ogni Baggins che si rispetti, anche Bilbo vive la propria vita nella tranquilla contea, ma l’arrivo dello Stregone Grigio rivoluzionerà il mondo dell’ignaro Bilbo. In men che non si dica l’hobbit si ritroverà la casa invasa da una compagnia di nani intenzionati ad arruolarlo nell’impresa di riconquistare Erebor, la ricca città nanica ora dominio di Smaug, il Drago d’Oro.
Reclutato il recalcitrante Bilbo, il “viaggio inaspettato” ha inizio, tra tragicomici nani-guerrieri, troll-chef e maghi narco-dipendenti, i fan della trilogia “classica” rincontreranno vecchie glorie come Elrond e Galadriel fino al wannabe-villain Saruman il Bianco e Gollum.
Un film (in)aspettato
L’atmosfera che permea la nuova fatica di Jackson risuona (risente?) di quanto già visto nella trilogia dell’Anello benché, malgrado l’epicità di scenari e situazioni, il film gigioneggi e forzi la comicità dei protagonisti che, in ultimo, suonano posticci quando calati in ruoli drammatici.
C’è da dire che, al contrario del Signore degli Anelli, lo Hobbit ha tematiche e situazioni esplicitamente scritte per un pubblico più giovane ma, dato il target “allargato” a cui Jackson e Co. mirano, sarà loro interesse mantenere viva l’aspettativa e l’interesse dei fan con una storia credibile e coinvolgente, piuttosto che presentare sullo schermo uno spettacolo, seppur magistralmente girato, di marionette.
Pur spettacolare e pregno della magia della trilogia dell’Anello, la prima pellicola della terzina dello Hobbit stenta a raggiungere gli stessi risultati dell’illustre precedessore. Intrattiene, diverte ma manca di quel quid che ha decretato il successo dell’illustre predecessore.
Aspettando “La Desolazione di Smaug” prevista per l’anno venturo.