The Man of Steel
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The Man of Steel

Dopo oltre trent’anni dal capostipite, Zack Snyder ritorna a raccontare le origini del super-uomo per eccellenza. Il reboot varrà la candela?

The Man of Steel

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Snyder si è ben guardato dall’inserire un espresso riferimento al nome “Superman” nella pellicola, che viene pronunciato un totale di 1 volta e mezzo in tutto il film. Che lo abbia fatto per esorcizzare l’eroe dalle “umili” origini disegnate? Forse si, dato che i toni da fumetto delle precedenti pellicole – “E’ un uccello? E’ un aereo? No, è SUPERMAN!” – sono distanti anni luce. Qua non si ride e non ci si diverte, perché fare l’eroe – anzi, il super-eroe – è una faccenda seria.

La storia è la solita, Jor-El è un saggio scienziato del pianeta Krypton che conscio della fine imminente del proprio mondo, decide di salvare specie e civiltà spedendo il figlio neonato, Kal-El, su un pianeta giovane e vitale. Guarda caso, la Terra. Atterrato, Kal-El viene adottato dai coniugi Kent col nome di Clark. Il giovane cresce sviluppando poteri straordinari, ma è costretto a tenerli segreti per paura del giudizio della gente. Raggiunta la maggior età, Clark inizia un viaggio alla scoperta di sé stesso che lo porterà a scontrarsi con la nemesi del padre, il Generale Zod, pronto a sacrificare la Terra per rifondare la defunta Krypton.

The Dark Superman

Il Superman di Snyder segue la falsa riga del Batman di Nolan – co-sceneggiatore della pellicola. Un eroe oscuro, tormentato dal proprio passato e avviluppato nel rimorso. Probabilmente il più grande potere di Clark/Kal-El è la super-pazienza. A 33 anni il ragazzo convive con una tristezza interiore mica-da-ridere ed un senso di sopportazione degno di un bonzo buddista. Qualità rimarcata in più di un’occasione ed instillatagli dall’educazione “repressiva” di un papà Kent – interpretato da Kevin Kostner – che arriva perfino a consigliare al figlio di lasciar morire dei ragazzini per mantenere segreti i propri super-poteri. ASPETTA, COSA?! Si, esatto, è proprio quello che succede nel film. A rincarare la dose di non-sense del personaggio ci pensa poi l’insensata dipartita messa lì per “amor di tristezza”.

man of steel 1

E purtroppo il non-senso della sceneggiatura non si ferma lì, risultando in una narrazione “a sprazzi” che, dopo l’ottima introduzione ambientata su Krypton, inanella una sconnessa sequenza di eventi che collassano nella battaglia finale. A risaltare sono Jor-El, impersonato da un ottimo Russel Crowe, ed il terribile Generale Zod, a cui Michael Shannon riesce ad infondere un carattere tanto forte quanto terribile. Tutto il resto rimane a mezz’aria, dando l’idea che gli eventi presentati succedano per convenienza scenica più che per la volontà dei personaggi.

man of steel 2

A peggiorare la situazione ci pensano i 144 minuti (esatto DUEOREEVENTIQUATTROMINUTI) che si potevano ridurre agilmente a 90, mantenendo un montaggio più dinamico e facendo valere la storia più che gli effetti speciali (seppur di prim’ordine). In più metteteci un Superman triste dentro (e fuori) e un tono generale fin troppo serioso per un film su un tizio in calzamaglia azzurra (scurita per l’occasione) e mantello rosso che svolazza qua e là a piacimento.

Insomma, dal dinamico duo Snyder/Nolan ci si aspettava un film ai livelli di 300, Watchmen, Sucker Punch e dell’ultima trilogia di Batman, ma si è finiti con un accozzaglia chiaro-scura talmente pachidermica da far sbottare un “Bah” anche al fan più accanito.

A quando il reboot del reboot?