Caso Alitalia 6. La resa dei conti
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Caso Alitalia 6. La resa dei conti

Nel nostro blog ci siamo occupati più volte del Caso Alitalia, forse l’emblema della mal gestione all’Italiana.

Dopo l’entrata in scena delle Poste, con un aiuto di stato non troppo mascherato e non troppo lecito, ecco arrivare l’ennesimo colpo di scena: Air France-Klm, che controlla il 25% della compagnia, ha deprezzato interamente la sua partecipazione in Alitalia.

La decisione di azzerare il valore dei titoli Alitalia - spiega ancora la relazione trimestrale di Air France - avviene “tenuto conto delle incertezze che pesano sulla situazione” della compagnia italiana.

Per i francesi l’azienda italiana vale zero e la strategia dei cugini transalpini è acquistare tutto a un prezzo molto conveniente, a danno delle banche italiane che si ritrovano fortemente esposte verso una società che vale ufficialmente zero.

Entro il 16 novembre c’è da decidere sulla ricapitalizzazione e rumors indicano che Parigi resterà fuori. I francesi hanno l’interesse di salire in Alitalia, ma a loro converrebbe acquistare un Alitalia in amministrazione controllata, depurata dai debiti e con i tagli già effettuati, per poi salire nell’azionariato e fare gli investimenti necessari per rilanciarla.

Alitalia ha bisogno di almeno quattro miliardi di euro in tre anni per potere pensare al futuro e non certo i 300 milioni di euro preventivati dall’ultima operazione della Cassa Depositi e Prestiti, che danno sì respiro alla compagnia, ma le permettono di arrivare solo alla fine dell’inverno e non oltre.

Se le cose non cambiano ci toccherà svendere regalare la nostra compagnia alla Francia, accollandoci noi i debiti, quando nel 2008 Air France-Klm rispose a un’offerta elaborata dal ministro del Tesoro Tommaso Padoa-Schioppa offrendo un investimento sull’azienda pari a un miliardo di euro, l’accollo di tutti i debiti per un totale di un miliardo e mezzo e l’impegno a mantenere l’autonomia organizzativa della compagnia aerea, con le sue insegne. Ma l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi, in nome dell’italianità, preferì una cordata di imprenditori italiani (molti dei quali attualmente in carcere o indagati dalla giustizia).