A settembre, l’Istat abbandonerà la tradizionale metodologia di calcolo del Pil introdotta nel 2010, applicando, invece, il nuovo metodo aggiornato Sec2010.
Tra le nuovi voci che verranno inserite nel calcolo del Pil, configureranno le spese di ricerca e sviluppo o quelle militari, seguite dalle spese dell’economia illegale: contrabbando, prostituzione e droga.
Non è un giochetto all’italiana, ma è la stessa Europa che c’è lo impone, tanto da aver condotto allo slittamento della data di presentazione del Def, il Documento di economia e finanza inizialmente previsto per il 20 settembre.
A far discutere nei mesi scorsi è tuttavia la scelta di infilare nel calderone del Pil anche buona parte del mondo dell’economia cosiddetta informale, irregolare e soprattutto illegale, mercato assai florido nel nostro Paese: traffico di droga, contrabbando di alcolici e tabacchi e infine prostituzione. Un bel malloppo che per la Banca d’Italia vale intorno ai 30-35 miliardi di euro.
Il passaggio al modello Sec2010, secondo la Commissione europea, avrà un impatto sul Pil italiano compreso tra +1% e +2%, proprio quanto ci serve per non sforare il famoso tetto del 3% del deficit.
Tuttavia considerare le attività illegale come fonte di ricchezza per un paese, ha a dir poco del paradossale. Alle prossime elezioni avremo candidati che nel programma elettorale avranno come obiettivo l’aumento del contrabbando e della prostituzione?
Perchè invece non legalizzare alcune di queste attività, quali la vendita di droghe leggere o la prostituzione, come già succede in altri paesi europei, in modo da garantire allo Stato nuove entrate e minore spese per il contrasto?