Suspension of disbelief.
O “sospensione dell’incredulità”, in italiano. È la (più o meno) cosciente volontà di un lettore o spettatore di sospendere il proprio senso critico ed accettare una premessa o un fatto incongruente con la realtà.
Senza la sospensione dell’incredulità non riusciremmo a goderci un quadro o a gustarci un’opera teatrale. Men che meno guardare dall’inizio alla fine un film fantascientifico.
In Lucy, Besson metterà a dura prova il vostro grado di sospensione dell’incredulità. Chi riuscirà ad accettarne le premesse e passare sopra alle molte incongruenze e grossolanerie, si godrà un buon film fantascientifico.
Agli altri sembrerà una “cagata pazzesca” (cit.).
Lucy in the sky, with CPH4
Lucy (Scarlett Johansson) è una ragazza normale. Studia a Taipei. Le piace divertirsi, bere e ballare. Il suo ragazzo, conosciuto da una settimana, le chiede un favore: “Entra in quell’hotel. Consegna questa valigetta. Fai un bel sorriso e torna da me”. Nulla di più semplice. Nulla di più sbagliato.
Come una gazzella braccata da ghepardi – è Besson stesso a fare il paragone – Lucy entra nell’hotel e finisce nella trappola. Viene portata al cospetto di un sanguinario signore della droga cinese (Choi “Oldboy” Min-sik), avvezzo a somministrare la giustizia di proprio pugno. Un tipo fine. Tanto da lavarsi via il sangue dell’ultima vittima trucidata con l’acqua minerale. Un gentleman.
Seviziata, Lucy viene costretta ad aprire la valigetta. Quattro buste. Piene di cristalli blu. CPH4, dicono loro. Roba buona. Roba talmente potente da farti impazzire.
Lucy, insieme ad altre tre vittime, viene arruolata giocoforza come “mulo della droga”. Si risveglia con una fasciatura all’addome. Ancora stordita, chiede spiegazioni.
“Torna a Londra, vai dai nostri associati, fatti togliere la busta che ti abbiamo impiantato e amici come prima”.
È sconvolta e inerme. In attesa del proprio aereo, viene incatenata in uno dei covi dell’organizzazione, dove subisce un tentativo di stupro. Lei si ribella, il cattivone la atterra con un pugno e la calcia ripetutamente.
Indovinate dove?
Esatto, all’addome. E qui comincia la festa.
I cristalli blu escono dalla sacca trapiantata e iniziano a scorrere nelle vene di Lucy. La ragazza inizia a fluttuare vorticosamente per la stanza. Si aggrappa con tutte le sue forze. Ricade a terra. Silenzio. Riapre gli occhi. In una sola mossa si alza e rimette seduta.
La mente è limpida. Come mai lo è stata prima. È al 20%. 20% di che? Besson ce lo dice. Intervallata alla storia di Lucy, c’è la spiegazione (pseudo)scientifica dell’eminente neuroscienziato Samuel Norman (Morgan Freeman, che da quando fa “Through the wormhole” ha guadagnato un PhD in “Ognisscienze”). Norman spiega la (ormai confutata) teoria dello sfruttamento del 10% del cervello, vaticinando i grandi poteri che l’uomo potrebbe acquisire se imparasse ad “usare la testa” al 20%, 30%, etc.
Dicevamo. Assorbita una generosa dose di cristalli e dopo aver svolazzato per la stanza, Lucy è arrivata al 20%.
E qui cominciano le domande. Tipo. Ma qualcuno del cartello ha provato a testare una dose massiccia di droga su una cavia locale prima di spedirla in Europa? E considerando tutto il disturbo accollatosi, perché non mettere la droga in contenitori leggermente più resistenti? Ma soprattutto, hai infilato un sacco che vale milioni dentro ad un portatore che vuoi che arrivi a destinazione sano e salvo. Non dici ai tuoi scagnozzi di trattare col dovuto rispetto il prezioso carico?!
Dicevo nell’incipit. Sospensione dell’incredulità.
Suvvia. Impegnatevi.
100% o il senso della vita
Al 20% delle proprie capacità intellettive Lucy è meglio di un veterano dei berretti verdi. Mosse di karate e mira super-precisa incluse. Stermina i propri aguzzini, si reca in ospedale e, pistola alla mano, costringe un chirurgo a rimuovere il sacco impiantato nel suo addome. In ospedale, Lucy scopre anche la natura della nuova droga. Il CPH4 è un (immaginario) ormone secreto in minuscole dosi durante la gravidanza. I suoi effetti, descritti nel film, equivalgono ad una bomba atomica per il feto (personalmente non un gran paragone, considerando la distruttività degli ordigni nucleari, ma tant’è). Praticamente quello che permette ad un ammasso di cellule di creare il cervello ed il sistema nervoso.
L’irreversibile processo porterà Lucy ad acquisire nuove abilità, aumentando inesorabilmente la percentuale utilizzata della propria mente. 30%, 40%, 50%. Telecinesi, controllo delle onde elettromagnetiche, telepatia, controllo della materia (chi ha detto Dr. Manhattan?).
Peccato che l’acquisizione di tutti questi poteri esigeranno tributo. La droga che la sta rendendo invincibile la sta bruciando dall’interno. Lucy prevede che, una volta arrivata al 100% nel giro di 24 ore, di lei non rimarrà traccia. “Che senso ha la mia vita?”, chiede a Norman dopo avergli mostrato i suoi poteri. “Tramandare ciò che si è appreso alle nuove generazioni”, le risponde lui.
Besson sembra volerci insegnare questo in Lucy. Il motivo di tanto dolore e sofferenza è sopravvivere e tramandare ciò che si è imparato nel proprio viaggio alla generazione successiva.
Ora, Luc per dirlo ci infila uno spaesato poliziotto dell’antidroga francese, una rocambolesca corsa in auto per rue de Rivoli (Taxxi), una sanguinolenta sparatoria e qualche altro “spiegone” scientifico riguardo il tempo come unica e fondamentale entità fisica.
E per fortuna tutta questa roba riesce a comprimerla in appena 90 minuti. Spesso intervallati da riprese di magnifici paesaggi naturali, scimmie antropomorfe e animali che si accoppiano. Un po’ Leon, un po’ Inception e un po’ Odissea nello Spazio.
A reggere sulle sue spalle l’intera pellicola, la divina Scarlett, che da un’ottima prova d’attrice sia nell’impersonare la fragile e indifesa donzella in difficoltà sia nel ruolo della forte e imperscrutabile eroina à la Besson (Nikita, Leeloo, Giovanna d’Arco, giusto per citarne alcune).
Forse non un cult del cinema di fantascienza. Ma al sottoscritto, che s’è impegnato per sospendere la propria incredulità, è piaciuta questa ultima prova di Besson. Non tanto per la storia in sé, quanto per le idee su cui fa riflettere. Fatto che pochi altri film di fantascienza possono annoverare.
E poi Scarlett è sempre Scarlett.