Un italiano su cinque possiede oltre la metà della ricchezza prodotta da tutti. A riferirlo è l’Ocse secondo cui in Italia l’1% della popolazione detiene il 14,3% della ricchezza nazionale netta (definita come la somma degli asset finanziari e non finanziari, meno le passività). E la crisi non ha certo aiutato a ridurre lo squilibrio, anzi semmai l’ha accentuato. Un pò come scoprire l’acqua calda visto che basta scendere in strada e capire che tutti la pensano nello stesso modo: in situazioni come queste chi ha di più rimane stabile (anzi magari diventa più ricco), chi ha meno si trova in tasca sempre di meno e trova sempre più difficile uscire dalle difficoltà.
Un penisola fatta di pochi ricchi, sempre più ricchi, e una marea di poveracci, sempre facili da sfruttare e con il ceto medio in via di estinzione. Guarda un pò che casualità. Proprio come succede negli Stati Uniti o nei paesi emergenti e l’Italia, un tempo paese della borghesia benestante (ne troppo ricca ne troppo povera), ora nazione da terzo mondo.
Tornando ai numeri, sempre secondo l’Ocse la crisi ha accentuato le differenze tra ricchi e poveri, dato che la perdita di reddito disponibile tra il 2007 e il 2011 è stata ben più elevata (-4%) per il 10% più povero della popolazione rispetto al 10% più ricco (-1%).
La ricchezza nazionale netta è distribuita in modo disomogeneo: il 20% più ricco detiene il 61,6% della ricchezza e il 20% appena al di sotto il 20,9%. Il restante 60% si deve accontentare del 17,4% della ricchezza nazionale, con appena lo 0,4% per il 20% più povero. Tra i ricchissimi, il 5% detiene il 32,1% della ricchezza nazionale netta.
Tra le famiglie italiane, quella che risente maggiormente della crisi, è quella composta di lavoratori disoccupati con un tasso di povertà del 38,6%. Segue quella di lavoratori “non-standard” (autonomi, precari, part time) dove il tasso si attesta al 26,6%,; chiude quella di lavoratori stabili, con un tasso appena del 5,4%.