Chissà se l’allora diciannove Mark Zuckerberg (oggi ventitreenne è il giovane più ricco del mondo con un portafoglio di 1,5 miliardi di dollari), fondatore di Facebook, era conscio di aver creato un nuovo mondo parallelo.
Facebook è per definizione un social network nato con l’idea di far mantenere i contatti tra studenti di università e licei di tutto il mondo. Oggi è il principale social network dopo aver sorpassato lo scorso giugno lo storico rivale MySpace. Secondo i dati diffusi dal sito specializzato comScore, a giugno Facebook ha registrato 132 milioni di visitatori contro i 117,5 milioni del rivale. Il sito è popolarissimo negli Stati Uniti, seguiti da Europa, Asia-pacifico, Medioriente e Africa, America latina. Impressionante la crescita in quest’ultima area: +1055% rispetto a giugno 2007.
Se sia un fenomeno più o meno positivo lascio a voi la parola, non voglio cadere in moralismi del tipo: “…. in questo modo si creano solo amicizie superficiali… s_i perde l’importanza del contatto umano e fisico_.. non si fa altro che incentivare la fuga dal mondo reale…. ecc..“, perché non sono ipocrita e so quanto al mondo d’oggi, soprattutto per i più timidi ed emarginati, sia difficile socializzare ( per onestà di cronaca anch’io ho un contatto facebook nonostante mi connetta raramente).
Una domanda però me la sono posta, da bravo economista, ma Mark come cavolo se li guadagna tanti bei dollarini? Ebbene, Facebook guadagna vendendo informazioni demografiche e di comportamento online alle aziende di marketing. Anonime, aggregate, ma comunque preziose. Più schedature quindi (anche di utenti non attivi) uguale più soldi.
Parlare di minacce orwelliane non è poi così esagerato. Non so se lo sapete ma nel gergo facebookiano cancellare il proprio account si dice “suicidarsi”. Fino a poco tempo fa il “suicidio” era per così dire solo “tentato” perché le informazioni personali rimanevano sul server “per un ragionevole periodo di tempo”, come recitava la clausola del sito. Era quasi impossibile eliminare tutte le proprie tracce tanto che era anche nato un gruppo di discussione interno a Facebook su “come distruggere permanentemente il tuo account” messo su da un ventiseienne svedese che a febbraio contava 4.300 membri.
Ma quando il risentimento ha toccato il livello di guardia la compagnia ha, molto discretamente, concesso l’exit strategy. La prima scelta è sempre “disattivarsi”. Ma oggi, spulciando nella sezione “aiuto”, spunta anche un bottone per fare hara-kiri virtuale. E sparire una volta per tutte.
Se la vita è stata resa più facile a chi vuole andarsene, i rischi per chi resta rimangono. E la casistica di vittime di Facebook si allunga, facendosi sempre più variegata. C’è la compagnia di assicurazioni statunitense che, per negare un risarcimento di spese mediche al cliente, porterà in tribunale delle confessioni online che dimostrerebbero la causa emotiva e non organica dei suoi disordini alimentari. E non è necessario dire o fare cose di rilevanza penale per passare dei guai. Come sanno bene i 27 dipendenti dell’Automobile Club della Southern California licenziati per messaggi offensivi nei confronti di colleghi. Regolarmente scambiati - e letti - attraverso il sito.
Non so voi ma adesso chiamo alcuni miei amici per uscire, perché non so cosa ci sia di più bello di scherzare e discutere faccia a faccia davanti ad una bella birra.
Radio Rebelde