“Se non potete parlare bene di una persona, non parlatene”.
Si apre con questa citazione della madre di Andreotti il film di Paolo Sorrentino sul “divo Giulio”, vincitore del Premio Giuria al 61° festival di Cannes.
Il film si apre con una scena tetra e grottesca, aggettivi che meglio descrivono la figura di Giulio Andreott i, che vede il sette volte Presidente del Consiglio ricorrere all’agopuntura per allieviare il dolore dovuto da terribili emicranie.
Sorrentino decide di rappresentare il declino del Senatore a vita; dal suo settimo e ultimo governo come primo ministro, alla mancata elezione a presidente della Repubblica (Falcone era appena saltato in aria, la dc gli preferì Scalfaro) sino alla sua incriminazione per associazione mafiosa (da cui sarà prima assolto, poi condannato, infine ritenuto colpevole per i fatti contestatigli fino al 1980 e quindi prescritti).
Sorrentino parla di Andreotti, e non ne parla bene. Ma sono in pochi ad aver fatto il contrario negli ultimi 60 anni, salvo esprimere la propria indignazione alla condanna a 24 anni per l’omicidio Pecorelli, annullata dalla Cassazione con gran sollievo del mondo politico, dimentico della divisione dei poteri e dell’autonomia di cui quello giudiziario dovrebbe godere ma che in molti preferirebbero eliminare. Nella reazione del Paese e dei suoi rappresentanti, c’è tutto il senso della figura di Andreotti: buono o cattivo, simpatico o antipatico, Andreotti è l’Italia e l’Italia si rifiuta di guardarsi in uno specchio che le dica “colpevole”.
Toni Servillo è straordinario: l’espressione del viso, la postura, la camminata, la flemma, oltre ovviamente alla gobba ed alle orecchie, tutto corrisponde all’originale. E’ bravissimo a rappresentare allo stesso tempo, l’Andreotti oscuro che quando gli comunicano che Salvo Lima, suo referente politico in Sicilia, è stato assassinato dalla mafia continua a chiacchierare al telefono con la cugina, e l’Andreotti quasi burlesco che non attraversa un salone di palazzo Chigi sino a quando un gatto bianco non si toglie dal suo cammino.
Una menzione particolare la meritano le musiche gestite da Teho Teardo che accompagnano il film completandolo, facendo da contraltare ai movimenti lenti del divo e ai suoi silenzi.
Ecco quindi un altro film di qualità prodotto dal nostro Cinema.
A scuola c’hanno sempre detto che bisogna studiare la Storia perchè ci permette di capire il presente. Bene, il film di Sorrentino, che ovviamente è fuoriluogo definirlo storico, rappresenta un modo di fare politica che sembra non più attuale in quanto , oggi, come afferma Sorrentino, non occorrono più le ombre andreottiane per avere in mano il paese ma le ombre sono altre, più contemporanee, il potere non te lo dà più la politica ma il controllo di ogni forma di comunicazione.
Radio Rebelde.