Trama. Roger Ferris è il miglior agente della CIA in Medio Oriente e si trova in Giordania per cercare di catturare un esponente di rilievo di Al Qaeda accusato di aver diretto e preparato una serie di attacchi terroristici in mezza Europa. Purtroppo a mettergli il bastone tra le ruote interverrà il suo supervisore Ed Hoffman.
Recensione. Il terrorismo torna prepotentemente sul grande schermo attraverso le condotte e le pratiche messe in pratica dagli Stati Uniti nel teatro di guerra mediorientale e la regia di Ridley Scott. Sul campo (a farsi il cosiddetto mazzo) l’agente Roger Ferris, in America a dirigere le operazioni il supervisore Ed Hoffman. Il problema è che mentre il primo cerca di conquistare la fiducia dei governanti del posto e vive sulla propria pelle ogni risvolto, sfaccettatura e conseguenza della guerra al terrore, il secondo dirige le operazioni con sofisticate apparecchiature tecnologiche e si trova il più delle volte a moltissime miglia di distanza, ossia nella propria casetta con la famiglia.
Già da queste poche righe emerge quindi l’elemento di fondo di tutta la pellicola : la contrapposizione tra i due protagonisti, impegnati entrambi a sconfiggere lo stesso nemico ma secondo modalità diverse. E proprio Ed Hoffman è colui che più rappresenta la politica estera americana, fatta sia di tattiche imposte, non adattate, al teatro di operazioni, sia di rifiuto a capire e a comprendere il fenomeno, magari per combatterlo al suo interno o alle sue radici. Ciò che conta è annientarlo, con buona pace degli innocenti che ci capitano in mezzo, da una parte e dall’altra.
Insomma Hoffman è la personificazione del cinismo e dell’arrivismo e si contrappone a Ferris, il quale rimane vittima e prigioniero degli stessi orrori e drammi del conflitto, con gli inevitabili rimorsi di coscienza del caso. I 2 sono diversi quasi in tutto: nel fisico, nella mentalità, nella loro morale personale (il fine giustifica i mezzi oppure no?) e sullo sguardo, uno esterno l’altro interno, che gettano sulla difficile situazione mediorientale.
La pellicola da parte sua viaggia su buoni ritmi e quantitativi di azione, farciti da informatori, agenti sotto copertura e doppio gioco ma probabilmente la sua pecca principale è non aggiungere quasi nulla al genere cinematografico e alle tematiche trattate, se non una velata critica alla superpotenza americana, con l’immancabile clichè della tortura.
Rimangono i 2 grandi attori principali, Crowe (Hoffman) e DiCaprio (Ferris), quest’ultimo a suo agio ormai nelle vesti di spia, infiltrato o agente segreto. I due insieme non mi sembra buchino lo schermo ed è il secondo a vincere il confronto diretto, rappresentando un personaggio più complesso e problematico rispetto al grassoccio supervisore interpretato da Crowe.
Il Gorgonauta.