Jamal Malik, un orfano diciottenne che vive negli slum di Mumbai decide di partecipare allo show della televisione indiana “Chi vuol esser milionario?”. L’acquisita popolarità mediatica, la scalata trionfale al milione e alle caste sociali infastidiscono il conduttore che cerca di boicottarne la vittoria, ingannandolo e facendolo arrestare. Sospettato di avere imbrogliato e torturato inutilmente, Jamal ripercorrerà col commissario di Polizia tutta la propria infanzia e le circostanze che gli hanno dato conoscenze non culturali ma dirette, di esperienza.
“The Millionaire“ racconta una vera e propria storia d’amore, optando per una formula mista che vede da una parte una partita di “Chi vuol esser milionario?”, format televisivo famoso in tutto il mondo, dall’altra continui flashback sul doloroso passato di Jamal, giovane e povero indiano.
“The Millionaire” è e resta un’operazione ricca di spensieratezza, un prodotto che attraverso il suo spirito melodrammatico mira anche al mercato indiano, omaggiando più di una volta l’industria di Bollywood (il balletto dopo i titoli di coda ne è la dimostrazione più evidente).
Grandi meriti al successo del film spettano al già regista di Trainspotting, Danny Boyle, che riesce a creare una narrazione originale e piena di ritmo. Rappresentando un Paese che vive di assurdità: baraccopoli che confinano con edifici lussuosi; diverse religioni che “convivono” armate; in cui il profumo dell’incenso si mescola al sentore delle fogne a cielo aperto.
Tuttavia in alcuni parti la trama del film appare assurda . Come sostiene Salman Rushdie, l’autore dei Versetti Satanici, _ è a dir poco “improbabile” che un ragazzo di strada, che parla una lingua locale, possa esprimersi in un inglese perfetto, fino a vincere al gioco televisivo _Chi vuole essere milionario.
Nonostante ciò, condivido la scelta di Hollywood di assegnare a “The Millionaire” l’Oscar come “miglior film”. La razionalità in questo caso deve far posto al sogno. Al desiderio di ritrovare la ragazza amata e di un riscatto sociale più forte di tutte le avversità che la vita ci fa trovare nella nostra strada.
L’Oscar, a mio avviso, deve anche essere letto come un primo passo verso una globalizzazione cinematografica; credo che d’ora in poi sarà sempre più importante per Hollywood pensare a prodotti che possano andar bene anche per i paesi emergenti, vista la saturazione e la crisi del mercato Occidentale.