Dopo 7 anni e mezzo si conclude virtualmente la guerra in Iraq (il conflitto è iniziato il 20 marzo 2003 ed è terminato il 19 agosto 2010). Con oltre 10 giorni di anticipo rispetto al calendario fissato dal presidente americano Barack Obama l’ultima brigata da combattimento dell’esercito americano ha attraversato la scorsa notte la frontiera che divide l’Iraq dal Kuwait.
La missione di combattimento tuttavia cambierà natura solo dal prossimo 31 agosto quando le brigate rimanenti saranno riconvertite in forza di assistenza all’esercito iracheno. Ad oggi i militari americani stanziati in Iraq sono 56.000, prossimi a diventare a fine mese “solo” 50.000. Il ritiro di tutte le truppe (anche quelle non combattenti) è previsto invece per il 2011.
Un conflitto voluto dall’allora presidente G.W. Bush sulla base della detenzione da parte dell’ex presidente iracheno Saddam Hussein di armi di distruzione di massa e dei suoi legami terroristici con Al-Qaida. Armi mai trovati, legami non sufficienti per giustificare un’invasione, per molti solo squallidi pretesti per un attacco ad un (sovrano) paese straniero, magari ricco di petrolio.
Con una comunità internazionale inerte alla finestra. La resa, in diretta mondiale, della diplomazia.
Una guerra che si conclude con l’avvio di un processo di democratizzazione del paese mediorientale (forse l’unica cosa davvero positiva di tutta la vicenda), processo che però ha richiesto da una parte e dall’altra un prezzo altissimo: in 7 anni e mezzo sono morti più di 4.ooo soldati americani mentre i civili iracheni deceduti si contano nell’ordine delle decine di migliaia.
Una guerra che ha avuto diversi momenti e aspetti rilevanti, come il rovesciamento del regime iracheno, la cattura e l’impiccagione di Saddam Hussein, l’approvazione di una nuova Costituzione e le prime elezioni libere in un un paese per anni dominato da un crudele regime dittatoriale. Ma anche anni di violenze, soprusi (qualcuno forse ricorda gli abusi commessi nel carcere di Abu Ghraib dai soldati americani e inglesi? o l’utilizzo del fosforo bianco nei combattimenti?) e morte, tra autobombe e kamikaze che fanno stragi anche di civili innocenti.
Una guerra che voleva esportare la democrazia e rendere più il sicuro il mondo, ma che probabilmente ha fallito completamente (e miseramente) il suo obiettivo. La stabilità della democrazia irachena non è un dato di fatto (reggerà senza le truppe Usa?), il mondo non è al sicuro (o almeno non è lo è più di prima) e il conflitto ha suscitato verso gli Stati Uniti una nuova ondata di disprezzo e disgusto.
Il conflitto iracheno ha riscritto inoltre il concetto di guerra. Non più uno scontro tra eserciti regolari contrapposti ma un continua battaglia tra insorti e ribelli (senza nome e senza volto) da una parte e soldati dall’altra, senza un chiaro e preciso nemico da combattere.
Una guerra senza onore e senza gloria in cui mercenari e uomini armati che non rispondono a nessuno, se non a potenti multinazionali, girano per le strade. Per anni un guazzabuglio di confusione e di caos disorganizzato (o volutamente voluto). Un conflitto economico, dominato da interessi sotterranei, con fantomatici milioni di dollari destinati alla ricostruzione del pese finiti chissà dove e chissà nelle mani di chi.
Chi risponderà di tutto questo? Forse anche Bush e i generali americani che hanno ingannato il mondo e il loro stesso popolo su immaginarie ed inesistenti armi di distruzione di massa e hanno iniziato una guerra che si potrebbe definire d’aggressione?
Probabilmente no. Gli occhi e le orecchie della giustizia intenzionale sanno quando essere ciechi e sordi.