Algeria, Tunisia, Egitto. Il vento del cambiamento?
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Algeria, Tunisia, Egitto. Il vento del cambiamento?

Prima l’Algeria, poi la Tunisia, infine l’Egitto. L’intero Nordafrica in questi giorni sembra un’enorme polveriera, con interi popoli scesi nelle strade e nelle piazze per cacciare tiranni e tirannie al grido di “libertà e democrazia”. Un pò come avvenne sul finire degli anni 80 con il crollo del muro di Berlino e del comunismo nei paesi dell’Europa dell’Est.

Ma non è solo la voglia di libertà e di democrazia che muove queste persone. La realtà, così come accaduto in Tunisia, è molto più complessa. Le rivolte popolari sono nate anche da un’esigenza e da un bene fondamentale : il cibo. Che ora costa molto di più.

I motivi di un simili rincaro sono diversi : raccolti insufficienti, avversità climatiche, l’aumento della domanda mondiale dei generi alimentari, il rincaro del petrolio, una cattiva gestione delle risorse. Peccato che a subire maggiormente il rialzo dei prezzi siano i più poveri del pianeta. Molti dei quali magari vivono in paesi dipendenti dall’importazione di materie prime dall’estero e governati da corrotti regimi autoritari.

Le rivolte per il cibo d’altronde non sono una novità. Sono accadute nel 2008 quando l’aumento dei prezzi delle materie prime causò rivolte sociali in Egitto e a Haiti e sono accadute oggi, nel 2011. Risorse scarse, alta disoccupazione, povertà e regimi autoritari che si sorreggono su una traballante legittimazione popolare. Basata quasi esclusivamente sulla capacità dei governanti di sostenere e di prendersi cura delle necessità della popolazione.

Un mix esplosivo che unisce povertà, fame e malcontento popolare. Etiopia, Senegal, Yemen, i paesi più a rischio.

Le rivolte di questi giorni hanno poi sollevato un’ulteriore importante aspetto: l’importanza di internet. Quando tutti i mezzi di comunicazione tradizionali saltano o vengono interrotti la rete diventa l’unico luogo in cui potersi esprimere, l’unico luogo in cui raccontare quello che sta succedendo.

Ecco perché il regime di Mubarak si è affrettato a correre ai ripari chiudendo siti come Facebook e Twitter. Ma la rete, rispetto ai media tradizionali, è più difficile da controllare e da abbattere. Le rivoluzioni insomma non si fanno solo nelle piazze ma anche sul web.

Benvenuti nel 21° secolo.