Ormai il prezzo della benzina aumenta ogni giorno di più. Tutta colpa della crisi libica ci dicono. Ma questi aumenti sono giustificati oppure siamo di fronte alla solita speculazione?
Innanzitutto vediamo come si calcola il prezzo si un litro di benzina :
PREZZO DI UN LITRO DI BENZINA = Platts + Il margine lordo dell’industria petrolifera + La tassazione (accise e Iva)
PREZZO OTTIMALE al 28 febbraio 2011 = 53,08cent (Platts)+ 15,05 cent ( Margine Lordo) + 56,4 cent (accise)+ 24,9 cent ( Iva al 20%) = 149, 43 Un valore inferiore a quello medio effettivo (150,8) rilevato dal Ministero per lo sviluppo economico. Possiamo quindi vedere come il Platts pesi per un 45%, i margini lordi per un 10 %, le tasse per un 55 %.
Ma andiamo per ordine :
Cos’è il Platts?
E’ il prezzo internazionale del carburante, dal nome della piattaforma privata dove si incrociano domanda e offerta. Che non è il prezzo del greggio, sia chiaro. Per questo molto spesso le variazioni del prezzo della benzina non coincidono con le variazioni dell’oro nero. Tanto che oggi i prezzi alla pompa sono più alti di 20 mesi fa quando il petrolio aveva toccato i 150 dollari al barile (oggi siamo intorno ai 100 dollari al barile).
Già qui possiamo porci delle domande. Ma chi stabilisce questo valore? La Platts appunto. Si tratta di un’Istituzione centenaria (fondata nel 1909), dal 1953 fa parte del gruppo editoriale McGraw-Hill, lo stesso che possiede anche l’agenzia di rating Standard & Poor’ s. Con le sue rilevazioni copre praticamente tutti i prezzi dei prodotti dell’ energia. Rispettata e rispettabile, l’ agenzia di rilevazione opera in una posizione quasi monopolistica e fa comunque il bello e il cattivo tempo sul fronte dei prezzi petroliferi.
Inoltre tra i suoi principali azionisti figurano: Barclays Global Investors, Goldman Sachs Asset Management, Vanguard Group, Deutsche Asset Management Americas, Barclays Global Investors. In sintesi chi stabilisce il prezzo è un colosso privato, non certo l’ Istat o Eurostat, che presenta al suo interno società che hanno interessi speculativi sulle variazioni dei prezzi delle fonte energetiche operando nel mercato dei derivati. Dite che è lecito dubitare sulla reale imparzialità di questa società?
Tutta colpa delle tasse?
Sicuramente la parte più pesante e indigesta del prezzo dei carburanti è costituita dalle accise, cioè dalle tasse specifiche sugli idrocarburi. In Italia, dal 50 al 60% del prezzo alla pompa. Ricordiamo che si è ricorso alle accise sulla benzina per vari finanziamenti della Storia Italiana: dalla guerra di Etiopia del 1935 fino alla crisi di Suez del 1956, passando per Vajont (‘ 63), alluvione di Firenze (‘ 66), Belice, Friuli e Irpinia (‘ 68-‘ 76-‘ 80), guerra in Libano (‘ 83), missione in Bosnia (‘ 96).
Il nostro Fisco ha l’insana abitudine di applicare anche un’Iva del 20% sul prezzo di vendita, tasse comprese. Quindi paradossalmente il Fisco è felice ad ogni aumento del costo industriale. Nel 2008 lo Stato ha incassato più di 36 miliardi di euro dalle tasse sui carburanti, più di quanto incassano gli Emirati vendendo petrolio. Tuttavia guardando gli altri paesi, possiamo vedere come, chi più chi meno, tutti facciano ricorso alla tassazione sulla benzina.
Ma allora perché da vent’anni abbiamo prezzi di vendita in Italia (tasse escluse) da 5 a 7 centesimi al litro superiori alla media europea? E se ci confrontiamo con i Paesi europei simili a noi, per quantità venduta e numero di raffinerie, la differenza è ancora maggiore e tocca uno “stacco” di 9 centesimi?
Il problema, come sempre in Italia è strutturale. Occorrerebbe intervenire è sulla rete dei distributori, sulla logistica che li rifornisce, sulle regole che Regioni e sindacati fanno, disfano, rifanno e poi boicottano, sulla latitanza dei governi che non sono mai stati capaci di affrontare con forza e lungimiranza la situazione.
In Italia abbiamo , nel 2010, oltre 24.000 distributori, più di qualunque altro Paese d’Europa. Perché non si riesce a portare a 18.000 il numero delle stazioni di servizio, come era stato solennemente promesso da gestori e compagnie 15 anni fa?
Perché ogni volta che i gestori lamentano di non riuscire a campare con i margini nazionali (che sono comunque più elevati di quelli percepiti dai colleghi tedeschi e francesi), invece di invitarli a chiudere riscuotendo il premio di fine gestione (pagato, negli anni, dagli automobilisti con un aggio su ogni litro) gli stessi chiedono un margine maggiore, lo ottengono e così sopravvivono. Fino alla ennesima minaccia di serrata, giacché nessun ministro dell’Industria ha mai avuto il coraggio di trovare soluzioni più geniali e razionali. Magari più banali che un aumento del prezzo della benzina.
Perfino le compagnie petrolifere nicchiano di fronte alla riduzione del numero degli impianti: dicono che l’automobilista è disposto a pagare di più pur di avere il distributore sottocasa.
Strano, perché se così fosse non si spiegherebbe il successo delle cosiddette pompe bianche, piccoli distributori anonimi che praticano prezzi più convenienti di 5-6 centesimi rispetto alle pompe blasonate, di ugual dimensione. Una prima soluzione ci sarebbe. La grande distribuzione potrebbe supplire alla funzione calmieratrice dei prezzi, se solo il numero degli impianti presso i supermercati potesse raggiungere il 10% del totale. Oggi siamo ancora al di sotto dell’1%, in Francia sono al 51%. Ancora una volta le Regioni concedono licenze col contagocce agli ipermercati e così mortificano il libero mercato.