Manovra anti crisi, addio a 25 aprile, 1 maggio e 2 giugno?
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Manovra anti crisi, addio a 25 aprile, 1 maggio e 2 giugno?

Tra le misure della manovra economica anti-crisi ne è prevista una che riguarda le festività civili, come il 25 aprile, il 1 maggio o il 2 giugno.

In base alla proposta contenuta nella manovra le festività infrasettimanali “non concordatarie” verrebbero spostate al venerdì precedente ovvero al lunedì seguente la prima domenica immediatamente successiva alla festività ovvero coincidere con la stessa domenica successiva.

Non verrebbero risparmiate nemmeno le feste del Santo Patrono, non regolate, ad eccezione della capitale, da nessun accordo tra Stato e Chiesa. Salve invece le feste stabilite in base ad accordi con il Vaticano come il Natale, l’Epifania, il 1 novembre, il 15 agosto e l’8 dicembre e le festività di natura semi religiosa come il 1 gennaio, il lunedì dell’Angelo e il 26 dicembre.

La misura ha suscitato l’allarme di coloro che lavorano nel settore turistico e della Confesercenti, tutti preoccupati di perdere i denari di quei milioni di italiani che approfittano delle feste civili e dei ponti da queste creati per qualche giorno di vacanza. Tutto quello guadagnato in termini di produttività verrebbe quindi perso in termini di minor fatturato per il comparto turistico. Fattore certamente non da sottovalutare per un paese come l’Italia.

I lavoratori inoltre vedrebbero svanire una di quelle poche opportunità a loro disposizione di prendersi una piccola pausa dalla routine e dal solito tram tram in nome di una misura che puzza di propaganda e opportunismo. Come se aggiungere 3-4 giorni di lavoro all’anno riducesse il debito pubblico, scongiurasse la crisi o facesse crescere il Pil, senza invece pensare alla qualità e all’entità del lavoro prodotto durante l’anno o ad una serie riforma del mercato del lavoro.

Perché poi sopprimere solamente le feste civili e non allora anche quelle religiose?

Per chiunque voglia salvare il 25 aprile, il 1 maggio e il 2 giugno è possibile sottoscrivere una petizione lanciata dalla Cgil firmando sul sito della Cgil o presso le Camere del lavoro presenti sul territorio.