La tassa più odiata dagli italiani non risparmia nessuno, neanche le imprese. In questi giorni molte aziende stanno ricevendo una letterina dalla Direzione abbonamenti della Rai che le sollecita a pagare il canone.
Niente di male se queste avessero una televisione. Il problema è che la Rai lo chiede anche alle imprese che hanno solo i computer per lavorare.
Perché? Perché la legge, risalente a un Regio decreto del 1938, dice che il canone lo deve pagare «chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione dei programmi televisivi».
Rete Imprese Italia ha calcolato che quasi 5 milioni di aziende italiane dovranno sborsare 980 milioni di euro. Chi non paga e’ soggetto a pesanti sanzioni e a controlli da parte degli organi di vigilanza.
Siamo di fronte ad una vera e propria tassa sulla tecnologia. Secondo un’interpretazione scrupolosa della legge anche possedere un semplice_ monitor, un telefono cellulare, un I-Pad, un decoder_ implicherebbe dover pagare il canone.
Questo vale sia per le famiglie, a cui arriva la domanda per il «canone ordinario», sia per le aziende, a cui mandano la richiesta per il «canone speciale», perché si suppone abbiano «apparecchi atti alla ricezione di programmi tv in locali aperti al pubblico o comunque al di fuori dall’ambito familiare».
Non è la prima volta che Mamma Rai ci prova. Fino a qualche anno fa la richiesta di pagamento veniva spedita anche a rivenditori e riparatori di tv, che la tv ce l’hanno in negozio per evidenti motivi.
La verità è che la Rai tenta di risolvere il problema dell’evasione del canone (800milioni di mancato introito l’anno) chiedendolo a tutti indiscriminatamente, anche a chi non ha la tv, poiché le procedure sanzionatorie sono difficili da applicare e dunque spara nel mucchio.
E se invece iniziasse a fare programmi decenti?