Che per la Grecia non sia un buon periodo lo si era capito, ma come si suol dire al peggio non c’è mai fine.
Se dopo le elezioni di giugno i partiti di Atene decideranno di non rispettare gli impegni per la restituzione del debito e l’Europa deciderà di abbandonarla al suo destino, non solo assisteremo al ritorno della Dracma ma si potrebbe aprire nuovi scenari sul risiko dell’economia mondiale.
Una Grecia sull’orlo della bancarotta diventerebbe terreno di conquista da parte dei mercati limitrofi. Ovviamente non di quelli europei azzoppati dalla crisi interna ma dalla vicina Turchia.
La tigre Asiatica, nemico storico nella Grecia, con un Pil che dal 2009 è cresciuto di oltre il 10%, sembra avere le carte in regola per annettere, economicamente, la Grecia.
Per Ankara conquistare la Grecia (sempre economicamente parlando) vorrebbe dire acquisire un concorrente “a prezzi di saldo” e garantirsi una strategica porta d’accesso per il mediterraneo.
Mettendo a confronto i dati economici dei due paesi ci si rende conto che ci troviamo di fronte a Davide contro Golia.
Il Pil turco è 3 volte quello greco. Nella penisola ellenica la disoccupazione oggi supera il 30%, mentre nella vasta regione dell’ex impero ottomano è stata ridotta al 10%.
La capitalizzazione delle borse, in Turchia, è sette volte superiore a quelle della Grecia (250mila milioni di dollari contro 35mila). Il tutto si riflette nel rendimento dei titoli di stato a 10 anni: un buono emesso dal governo turco rende oggi il 9,2%. Quello greco, se mai sarà riscosso, offre rendimenti del 27,67%.
Non so se questo scenario sia più o meno realistico, quello che mi preme dire è che non c’è in gioco solo la permanenza o l’uscita della Grecia ma la mancanza di un’Europa forte e coesa la renderà sempre più preda delle pressioni provenienti dall’America e dall’Asia.