Sì è spento ieri sera intorno alle 20.30 Enzo Jannacci.
Cantautore, cabarettista, attore e cardiologo italiano, Jannacci è ricordato come uno dei pionieri del rock and roll italiano, insieme a Celentano, Tenco, Little Tony e Gaber, con il quale formò un sodalizio durato più di quarant’anni.
Basta dire Gaber e Jannacci per evocare una Milano che non c’è più, una Milano già grande città ma non ancora metropoli, una Milano romantica, popolata da personaggi strani, irriverenti, poetici. Lui Poeta dell’ironia, un’ironia che sconfinava volentieri nel non sense.
Capace di comporre canzoni sempre moderne che rimarranno nella storia come_ “Vengo anch’io, no tu no”_ e “Ci vuole orecchio” o “E la vita, la vita” scritta con Cochi e Renato, ma anche_ “Quelli che”_ o “El portava i scarp del tennis”, “Vincenzina e la fabbrica”.
Dietro quel sense of humour si nascondeva un gigante della canzone, anticipatore del rap all’italiana, maestro di una generazione di cabarettisti milanesi che parte da Cocchi e Renato e arriva ad Aldo Giovanni e Giacomo.
Enzo Jannacci, pugliese trapiantato a Milano, è stato, probabilmente senza mai saperlo, un grande intellettuale, come diceva Dario Fo.
Se ne va così un altro pezzo di Italia, di quell’Italia che sapeva ancora divertirsi, vogliosa di creare e di anticipare i tempi, capace di comporre poesia senza neanche saperlo.
Ciao Enzo!