”giochi della fame”. Katniss – occhio di falco – Everdeen ce l’aveva fatta, aveva superato l’ardua prova degli Hunger Games, riuscendo perfino a riportare seco quel inutile slavato merluzzo valido compagno di viaggio che è Peeta. Cavalcando l’amore del pubblico per i piccioncini, il perfido dittator-presidente Snow li obbliga ad un tour de force nei 12 distretti con l’intento di sedare le proteste fomentate dalla speranza di rivolta che Katniss incarna.
“Che sarà mai!”, pensa Katniss, “tanto ora avrò fama e gloria, chi mi tocca più?”. E invece quel bastardone di Snow confeziona una mefistofelica congiura ai danni della Nostra: dato che i prossimi saranno i 75esimi Hunger Games – rullo di tamburi – i “tributi” (uno maschile e uno femminile) saranno selezionati tra i vincitori dei precedenti giochi. Va da sé che Katniss e Peeta finiscano tra i concorrenti, col malus che ora Snow vuole a tutti costi Katniss fuori dai giochi – in realtà dentro, beh, insomma avete capito.
La ghiandaia nella cupola che scotta (e fulmina!)
Il secondo capitolo del franchise di Hunger Games ci presenta una Jennifer Lawrence agguerrita e fragile. Il “triangolo no” c’è grazie ai due pretendenti – quella faccia di tolla di Peeta e quel superfigo di Gale, nonché fratello di Thor (no, non Loki). Fortuna vuole che la pellicola non indugi particolarmente sui piccoli problemi di cuore della protagonista, presentando al contrario quel bastardone del presidente ed il suo piano malefico per distruggere – pubblicamente e fisicamente – Katniss.
Purtroppo il film si prende un po’ troppo tempo per ripetere quanto già visto nel capitolo precedente. I distretti in ribellione, l’opulenza della capitale, la sala di allenamento dei tributi. Per intenderci, qualcosa di nuovo c’è: più violenza nei distretti, nuovi – e interessanti – co-protagonisti, il sempre-più-complicato rapporto con Peeta. Ma il problema è che, essendo il secondo capitolo della serie, gli spettatori conoscono già il meccanismo e dividono la storia in “l’antipasto prima degli Hunger Games” e “il motivo per cui sto guardando questo film”. Conscio di questa dualità, il regista Francis Lawrence, poteva meglio bilanciare il tempo su schermo.
Al contrario si parte lenti, raccontando la perigliosa, travagliata, martirizzante, incontinente (può capitare se ti pigli la Jumbo di Coca) storia dei protagonisti. Poi, finalmente, quando arriva il tempo dello scontro, o meglio, di quel macello a cielo aperto che sono i 75° Hunger Games, ci si risveglia. E dopo 40 minuti di pam, pum e anche pim ti ritrovi, un po’ perplesso, a veder scorrere i titoli di coda, che seguono cortesemente il cliffhanger finale.
Bello il – non troppo scontato – twist finale. Mezz’ora in meno di “melina” ed eravamo ai livelli del precedente capitolo. Al terzo (e probabilmente ultimo) capitolo.
~F Ab G C~