Sin City 2: Una Donna per cui Uccidere
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Sin City 2: Una Donna per cui Uccidere

Hard-boiled. Pulp. Noir.

Sin City

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Sin City. Il capitolo Uno. Non c’è nelle pagine digitali di questo diario virtuale. Un peccato di gioventù. Sin City usciva nel giugno 2005. E anche se non ne hai scritto la recensione perché l’Atomo ancora non esisteva, te lo ricordi bene lo stesso. Rodriguez e Miller (e Tarantino) avevano lanciato il loro incantesimo e tu non hai opposto resistenza.

Il bianco e il nero lottavano sullo schermo. Per te. E ogni tanto, quando faceva più male, dalle loro ferite scaturivano intensi schizzi di colore.

Ne scorrerà di sangue, e a galloni!

Il film esagerava. Spingeva al massimo sull’acceleratore dell’ultra-violenza. E tu eri lì. Ad assistere a quella lotta inumana. A gustare il sapiente incastro di forme, ombre e inquadrature. Perché alla fine, oltre agli arti mutilati, ai corpi crivellati e alle gole recise, c’era una storia che ti aveva preso. VOLEVI sapere come sarebbe andata a finire per Dwight, Marv e Hartigan. Gustandoti ogni oncia di sangue che li separava dalla loro vendetta.

Una Donna per cui Uccidere

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A 9 anni di distanza dal primo Sin City, esce il suo sequel “Una Donna per cui Uccidere” e come il predecessore, attinge dall’omonimo fumetto scritto da Miller.

Ambientata quattro anni dopo gli eventi di “Sin City”, il sequel prosegue in parallelo le storie di Marv (Mickey Rourke), Dwight (Josh Brolin) e Nancy (Jessica Alba). Al fianco dei “protagonisti”, il fortunello Johnny (la new entry Joseph Gordon-Levitt) in cerca di riscatto per le corrotte vie della Città del Peccato. Centro gravitazionale delle vite dei quattro è il Kandie’s Bar. Tana dove ognuno di loro si rifugerà per leccare le proprie ferite. O per trovare qualcuno a cui farne delle nuove.

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La pellicola eredita l’oscura quanto abbagliante fotografia dell’illustre predecessore. Ed è una delizia per gli occhi vedere la maestria con cui attori in carne ed ossa riescano a diventare protagonisti di un fumetto vivente. Posare lo sguardo sulle voluttuose curve di Eva Lord (Eva Green) mentre frange le nere acque della propria piscina è solo uno degli spettacoli nel carnet del film.

Eva. Dannazione.

Esclama Dwight. Come dargli torto.

Purtroppo, al netto del seducente comparto visivo, “Una Donna per cui Uccidere” mette sul fuoco poca “ciccia narrativa”. Ad alcuni basterà il fumo, a molti mancherà l’arrosto.

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Scrivevo all’inizio. Hard-boiled. Pulp. Noir. Il primo capitolo li dosava perfettamente, come pochi altri hanno saputo fare. Il secondo ci prova, scadendo eccessivamente nel pulp.

Rodriguez (o Miller, vai te a capire) spinge troppo sull’exploitation, rendendo i propri personaggi unidimensionali. Marv finisce per fare ping-pong da una storia all’altra. Un energumeno sentimentale a cui basta una storiella strappalacrime (o strappamutande, fate voi) per averlo al proprio fianco. Nancy, protagonista della prima pellicola, nella frettolosa ricerca della propria vendetta, finisce per diventare una goffa eroina vestita di pelle e borchie. Anche la storia di Johnny, inframmezzata con quella degli altri protagonisti, appassiona, ma stenta a prendere il volo, finendo per schiantasi (silenziosamente) sullo sfondo.

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L’epicità di scene e dialoghi del primo capitolo ti scade un po’. Ti manca quel “perché” che ti aveva fatto passare sopra ai litri di sangue, violenza e morti per andare al succo del primo “Sin City”. Non c’è Miho che tenga.