Parigi torna nel terrore. Dopo l’attentato di gennaio a Charlie Hebdo, ieri sera la capitale francese ripiomba nell’orrore.
Una sparatoria a colpi di kalashnikov in un ristorante cambogiano, almeno tre esplosioni (due kamikaze e una bomba) al di fuori dello Stade de France durante il match amichevole Francia-Germania e poi una terza sparatoria, al Bataclan, una nota sala di concerti, dove era in corso un concerto rock con circa 1500 persone.
La conta dei morti è provvisoria, e purtroppo destinata a salire, si parla di circa 128 i morti - per la maggior parte spettatori del concerto - e 192 i feriti, di cui 99 in modo grave.
Secondo la procura gli attentatori deceduti sarebbero 8, ma è possibile che altri complici siano in fuga.
La reazione della Francia e dell’Occidente sarà durissima. «Quello che è successo venerdì a Parigi è un atto di guerra commesso da un’armata jihadista contro i valori che noi difendiamo e che siamo: un Paese libero». Così ha affermato il presidente francese, Francois Hollande, parlando questa mattina alla nazione in diretta televisiva dall’Eliseo.
In queste ore le emozioni sono forti: le parole paura, odio, guerra viaggiano nelle nostre menti.
Ognuno di noi poteva essere allo stadio col proprio figlio, al ristorante con la propria ragazza, al concerto col proprio migliore amico.
Il 13 novembre 2015 rimarrà nei nostri ricordi, come il giorno dell’attentato alla nostra libertà forse ancor più che l’11 Settembre.
Non dobbiamo però dimenticarci che 4 anni e mezzo di guerra civile in Siria hanno provocato 250.000 morti, 2 milioni di feriti e 12 milioni di sfollati.
Quindi o ci mettiamo tutti insieme a sconfiggere il nemico comune, l’Isis, senza distinzioni di Religione e Stato e senza distinzione di morti di serie A e serie B, oppure facciamo vincere la demagogia piangendo oggi, armandoci domani ma senza voler veramente risolvere i problemi.