Il petrolio crolla a meno di 30 dollari al barile. I consumatori si aspettano un corrispondente calo dei carburanti. Ma non è cosi.
Questo non vale solo per la benzina, ma anche per i biglietti aerei. Le compagnie, invece di abbassare i prezzi, si tengono i soldi risparmiati. Per premiare gli azionisti o rinnovare la flotta.
C’è pure la presa in giro finale. La sovrattassa carburante, introdotta quando il petrolio veleggiava intorno ai 100 dollari, non è stata tolta. Oggi ha cambiato solo nome e il costo del biglietto è rimasto invariato. Non si chiama più fuel surcharge ma semplicemente YQ. Sigla che nasconde più genericamente “tasse imposte dalla compagnia” senza precisare se legate o meno agli idrocarburi.
Partiamo dai numeri. Le compagnie hanno speso nel 2015 poco più di 180 miliardi di euro per riempire i serbatoi dei loro voli, 46 miliardi in meno dei 226 dell’anno precedente. Nel 2016 la bolletta per il pieno di Boeing e Airbus potrebbe scendere a 135 miliardi.
Tuttavia il costo medio dei biglietti nel 2015, calcola il capo economista della Iata (l’organizzazione mondiale delle aeroelinee) Brian Pearce, è sceso del 5%. I dati raccolti sul campo da fonti indipendenti non vanno meglio: le tariffe domestiche sul mercato Usa sono calate nel primo semestre del 2015 dell’1%,
Pure FareCompare, una delle più autorevoli realtà del trasporto aereo, sostiene che il prezzo dei biglietti è oggi in linea con quello del 2014, malgrado nello stesso periodo il greggio sia sceso del 70%.
E allora dove finiscono i soldi risparmiatati? Se li sono tenuti in tasca le compagnie, utilizzandoli non per sforbiciare le tariffe, ma per premiare gli azionisti, aumentare gli stipendi dei dipendenti o investire sulla flotta.