Pirati dei Caraibi: Dead Men Tell No Tales
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Pirati dei Caraibi: Dead Men Tell No Tales

Quinto capitolo della brillante, fortunata, infinita serie del Capitano Depp Sparrow. Se vi chiede com’è questo Dead Men Tell No Tales, basta pensare che qualche mese prima dell’uscita nei cinema, un attore come Javier Bardem — che nella pellicola interpreta il cattivo di turno — faceva capolino tra i trailer, raccomandando di andare a vedere questa fantastica storia di avventura, amore e filibustieri.

Convinti?

I Morti Non Parlano

Dopo la trilogia originale — eh si, neanche tre lustri sulle spalle e la saga piratesca risente già della sindrome da Star Wars — il franchise dei pirati scalcinati aveva preso la strada degli spin-off con il quarto film, On Stranger Tides, che, pur non brillante, ha portando a casa un discreto successo al botteghino.

Non contenti, ai piani alti Disney hanno pensato che la serie, ormai vecchia, avesse necessità di un “soft reboot”. “Un che?”. Un riavvio “conservativo” della saga che preservasse i vecchi personaggi ma spostasse il centro dell’azione su nuovi (e meno costosi?) comprimari/attori.

Ed è proprio questo quello che succede con Dead Man Tell no Tales. Oltre ai tradizionali venti minuti di pellicola iniziali, dedicati alle carambole di un Jack Sparrow sempre più improbabile Mr. Magoo dei Caraibi, vengono presentati i “nuovi protagonisti” della serie: da una parte Henry Turner, giovane avventuriero nonché figlio di Will Turner (Orlando Bloom) ed Elizabeth Swan (Keira Knightley), protagonisti della trilogia “classica”, e dall’altra Carina Smyth, femminista ante-litteram nonché scienziata/orologiaia/astrologa. I due si troveranno, insieme a Jack, ad affrontare il cattivone menzionato all’inizio, un Javier Bardem cacciatore di pirati non morto (che, al contrario del titolo del film, di storie ne racconta tante) dal nome di Armando Salazar (Serpeverde).

La tabula rasa “soffice” voluta da Disney è rappresentata nel film dall’oggetto ricercato dai protagonisti: il Tridente di Poseidone, un artefatto dal nome evocativo ed il potere di rompere tutte le maledizioni di mare. Un po’ come per dire: rimettiamo nella scatola pirati zombie, mostri marini e navi fantasma e ripartiamo da zero.

Funziona questo reset morbido?

Dipende da cosa si considera. Se si guarda alla critica, il film ha dato il peggio della serie, ottenendo forti bocciature per mancanza di originalità, sessismo latente e pochezza della trama. Dall’altra c’è però il risultato al box office, dove la pellicola ha quasi triplicato l’investimento di produzione.

Critici di professione e registri di cassa a parte, la mia risposta alla domanda sul successo di questo soft reboot è “No”.

Certo, reggere il confronto con la trilogia originale è quasi improponibile, considerando l’effetto-novità del primo film e i buoni contributi dei successivi due.

“Dead Men”, malgrado i fantastici effetti visivi, l’azione spesso concitata e coinvolgente e l’eccezionale fotografia dei luoghi da sogno dell’iconografia caraibica, si sorregge su una scricchiolante impalcatura puntellata principalmente sugli stacchetti slapstick di Depp — qui meno convinto che mai — e sulla presunta epicità ereditata dalle pellicole precedenti. Se a questo si aggiunge una nuova generazione di personaggi poco convincenti, forse limitata anche dalla presenza sullo schermo dell’ingombrante Sparrow, il confronto con la trilogia “classica” si fa molto mesto. Riuscirà Disney a tappare le vistose falle prima che la nave coli a picco?