Prey: la caccia è aperta.
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Prey: la caccia è aperta.

Trama. Tom Newman (Peter Weller), dovendo recarsi in Africa per lavoro, decide di portare con se la sua famiglia, composta dalla nuova moglie Amy (Bridget Moynahan) e dai i suoi 2 figli Jessica (Carly Schroeder) e David (Connor Dowds). Ma quella che doveva essere una piacevole vacanza si trasforma ben presto in un incubo : durante un safari in una riserva moglie e figli vengono assaliti da un gruppo di leoni e morta la guida che li accompagnava si trovano soli e isolati ad affrontare i perfidi felini in una Jeep, unico loro rifugio in mezzo alla morte.

Recensione. Il film è un horror di quelli leggeri, capace di fare paura anche senza fiumi di sangue e mostri senz’anima, cosa senz’altro ammirevole visto i tempi che corrono. Non mancano scene violente ma queste non superano mai un certo limite e sono assai limitate. Regna la tensione, la paura di non farcela, l’incubo di morire tra atroci sofferenze sbranato da un leone.

Il tutto in uno spazio angusto, piccolo che accresce il senso di pericolo circostante. La jeep in cui sono rifugiati i 3 sfortunati è la sicurezza, la difesa contro il nemico esterno e se cede crolla con essa qualsiasi speranza. Infatti per tutto il film regna la lotta soprattutto psicologica tra leoni e uomini, aggravata dalla sete, dal caldo e dalla sfiducia. Chi può infatti sperare di essere rintracciato in mezzo alla savana? (fa tanto Alive - Sopravvissuti).

L’unica a crederci fin dall’inizio è Amy che deve lottare anche per conquistare la fiducia di Jessica, che ancora è affezionata alla sua vera mamma e disprezza la “nuova”. Ma nella difficoltà quest’ultima imparerà ad apprezzarla riconoscendogli un coraggio e una tenacia fuori dal comune.

Ma chi si oppone alla loro salvezza? I leoni, i vecchi e nuovi (secondo il film) mangiatori di uomini. Ecco perciò un’altra pellicola dove gli animali fanno la parte dei cattivi e seminano morte. Ormai non c’è una categoria animale in grado di salvarsi da Hollywood e dopo volatili, squali, e perfino cani (The breed) è il turno di questi felini, già noti però per film come “Spiriti nelle tenebre” (1996) di Stephen Hopkins, “Curse of Simba” (1965) di Lindsay Shonteff e “Savage harvest” (1981) di Robert E. Collins.

Sullo sfondo domina l’Africa, i suoi colori e i suoi sconfinati spazi, in cui la Jeep è un solo un puntino nell’immensità. Ma questo continente ci viene fatto vedere solo dal punto di vista di noi occidentali, che ci crediamo padroni della natura e dei suoi abitanti, che dovrebbero ritirarsi di fronte alla nostra superiorità. Ma qualche volta non è così e un tranquillo safari si trasforma in dramma.

Tra gli attori, ricordiamo in primo luogo la bella Bridget Moynahan (Amy) che tiene a bada i 2 fanciulli offrendo un valido punto di riferimento per mantenere la calma. Tenace, ingegnosa e temeraria saprà tenere fino alla fine in mano la situazione. Vi è poi Carly Schroeder (Jessica) che riesce nel ruolo di figlia odiosa e pessimista. Testarda e incapace di capire le scelte (giuste) di Amy riuscirà solo nel finale ad accettarla. Ma certamente tutto il cast non è da rimproverare.

Infine ricordiamo il regista sudafricano Darrell Roodt, autore di Van Helsing - Dracula’s revenge (2004) e Yesterday (2004). Roodt riesce a dare al film grande suspense senza cadere nella volgarità e a rappresentare bene la lotta nella savana, da vari punti di vista, compreso quello dei leoni. Belli i primi piani dei loro occhi (di un giallo intenso) che vedono gli “umani” come succulenti prede. La pellicola viene criticata perché troppo prevedibile ma meglio un film del genere piuttosto che uno dove regna incontrastato un pazzo con la motosega o un popolo di mutanti ignoti al resto del mondo nonostante la serie incredibile di omicidi che commettono.

Volete sapere il finale? Non ve lo dico ma non aspettatevi una conclusione facile facile, il seguito potrebbe sempre apparire nella sale.

E poi una nota canzone diceva che il leone si era addormentato.

Il Gorgonauta.