Ultime novità.
Da punto Informatico Anno XII n. 2761 di mercoledì 9 maggio 2007.
I 3636 utenti Internet italiani che secondo alcuni discografici avrebbero posto in condivisione illegalmente sulle piattaforme di sharing una certa quantità di materiale musicale, stanno ricevendo in questi giorni le raccomandate con cui i detentori del diritto d’autore chiedono la cancellazione dei file e il pagamento di alcune centinaia di euro a titolo di compensazione.
La segnalazione arriva da diversi forum: gli utenti spiegano di aver ricevuto la lettera dallo studio legale Mahlknecht & Rottensteiner, che opera per conto dei discografici tedeschi di Peppermint e che ha ottenuto da Telecom Italia e altri ISP i nominativi degli utenti corrispondenti agli IP rilevati sulle reti di file sharing dalla società svizzera specializzata Logistep. Sebbene Telecom si fosse opposta alla richiesta di consegna dei nominativi, il Tribunale di Roma ha deciso altrimenti, accettando le tesi dei discografici.
La raccomandata propone all’utente di collaborare con l’industria provvedendo alla rimozione dei file contestati e pagando una somma. Così facendo, spiega l’ufficio legale, si potrà evitare una denuncia formale per condivisione senza autorizzazione di musica protetta da diritto d’autore sulle reti di scambio. Un atto, come noto, considerato di natura penale secondo l’attuale legislazione italiana.
L’arrivo delle raccomandate era atteso da tempo, come sanno i lettori di Punto Informatico. Proprio su queste pagine, infatti, lo studio legale che si era occupato del caso aveva dichiarato lo scorso marzo la propria intenzione di procedere a diffide e richieste di risarcimento a carico degli utenti che siano risultati associati ai numeri IP individuati da Logistep. Risarcimenti nell’ordine delle centinaia di euro - aveva specificato a PI l’avvocato Otto Mahlknecht, che segue il caso - cifre che “non sono equiparabili a quelle che vengono richieste, ad esempio, negli Stati Uniti”.
L’arrivo delle raccomandate sottintende come il Garante della privacy nonostante il sollecito di Fiorello Cortiana abbia evitato di pronunciarsi in merito. Secondo Cortiana, membro del Comitato consultivo sulla Governance di Internet del Ministero dell’Innovazione, le azioni dei discografici in questo caso, “basate su un danno presunto e non documentato da prove”, si configurano come una forma di spamming giuridico a sostegno, tra l’altro, di “una ambigua postulanza”. In particolare Cortiana rilevava, subito dopo la pubblicazione su Punto Informatico della notizia dell’iniziativa Logistep-Peppermint, come secondo il Testo Unico sulla Privacy “l’IP (associato da Logistep ai file condivisi sul P2P, ndr.) è un dato personale, quindi non tutti i trattamenti possono essere fatti senza il consenso dell’interessato. In questo senso occorre capire come si configura e giustifica l’obbligo impartito al gestore telefonico di fornire le utenze associate agli IP ad un soggetto privato”.
Sulla questione il Garante non si è pronunciato e i legali che curano il caso per conto dei discografici hanno quindi proseguito nella loro azione, proprio come preventivato. Ma in rete non raccolgono in queste ore molti applausi. Qualcuno su ScambioEtico.org parla di ricatti, mentre altri, su it.diritto.internet, si chiedono se l’azione di Peppermint abbia un presupposto legale valido. In assenza di una pronuncia del Garante o di qualsiasi altro intervento a livello istituzionale, gli utenti di questo particolarissimo caso, che siano condivisori di materiale illegale oppure no, sono lasciati da soli a decidere come procedere, se pagare, se accettare il rischio di un procedimento giudiziario o se stracciare la lettera che hanno ricevuto. A loro si è rivolta in queste ore Adiconsum, che definisce la situazione intollerabile.
Da Punto Informatico Anno XII n. 2769 di lunedì 21 maggio 2007.
Roma - Invocato dagli utenti, dalle associazioni dei consumatori e dal senatore Fiorello Cortiana, due giorni fa il Garante per la privacy ha annunciato formalmente di volersi costituire in giudizio presso il Tribunale di Roma nel più clamoroso caso italiano di contrasto all’uso delle piattaforme di sharing per la condivisione di file musicali, l’ormai celeberrimo caso Peppermint-Logistep, reso pubblico inizialmente proprio da Punto Informatico.
In una nota, l’Autorità presieduta da Francesco Pizzetti spiega la sua decisione con la volontà di “verificare se nella vicenda siano stati rispettati tutti i diritti di protezione dei dati personali”.
Il Garante intende lavorare sia sul fronte dell’identificazione degli utenti, ossia sugli strumenti utilizzati e sul conseguente trattamento di dati personali, sia su quello delle raccomandate con richiesta di risarcimento che, come ben sanno i lettori di PI, stanno arrivando in queste settimane alle migliaia di utenti coinvolti nella vicenda.
La decisione del Garante sta naturalmente illuminando forum e gruppi che si occupano dell’argomento, ma plausi sono arrivati anche dai consumatori. In una nota, Adiconsum, che come Altroconsumo (che descrive le raccomandate come ricatto orwelliano) si era mobilitata perché si facesse chiarezza sulla questione Peppermint, afferma che “ora i consumatori possono tirare un sospiro di sollievo, perché al loro fianco, oltre Adiconsum, hanno l’istituzione più qualificata a far chiarezza sulla liceità della richiesta della Peppermint, cioè se tutto sia avvenuto rispettando i diritti di protezione dei dati personali, ovvero se questi diritti siano stati lesi”.
In realtà, proprio Adiconsum viene criticata da Otto Mahlknecht, il legale che segue la questione per conto di Peppermint-Logistep. Già intervistato da Punto Informatico, in una nuova intervista curata da Internet Magazine di cui PI ha avuto una anteprima, sostiene che “le persone che si sono affidate a quest’organizzazione sono mal consigliate. Da quello che è stato pubblicato fino ad ora si evince che il problema dal punto di vista giuridico non è stato ancora “digerito”. Altrimenti non riesco a capire come mai si possa seriamente sostenere che ci sia stata una violazione della privacy”.
Secondo l’avvocato, “forse coloro che gridano allarme al Garante della privacy non hanno letto attentamente le ordinanze del Tribunale di Roma che ovviamente hanno approfondito questa tematica. Siccome i dati sono stati raccolti per far valere un diritto in sede giudiziaria, non era necessario il consenso della rispettiva persona”. E sottolinea: “Sia aggiunto che - con tutto il rispetto verso il lavoro che fanno le organizzazioni dei consumatori - le persone che illecitamente hanno diffuso opere d’ingegno tutelate nell’internet, giuridicamente non possiedono la qualità di “consumatori”, ma hanno una responsabilità extracontrattuale nei confronti dell’impresa che hanno danneggiata con il loro comportamento, pertanto tutta la normativa a tutela del consumatore non è applicabile”.
A detta di Mahlknecht la posizione degli utenti coinvolti è chiarissima: “Queste persone, di fatto, si sono arrogate una licenza mondiale di distribuzione del rispettivo brano musicale senza averne il diritto. Civilisticamente sono responsabili ex articolo 2043 del codice civile; l’ammontare del danno è calcolato ai sensi dell’articolo 158 della legge sul diritto d’autore”. A suo dire, inoltre, gli utenti che si stanno facendo assistere da un avvocato decidono di pagare i 330 euro richiesti da Peppermint, mentre gli altri, sottolinea, “sappiano che non la passeranno facilmente. Sicuramente, sarà difficile agire contro così tante persone, ma vorrei far presente che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno avviene dopo cinque anni, per questo motivo la Peppermint ha molto tempo per tutelarsi. Se vuole, può chiamare in giudizio (gli utenti, ndr) uno dopo l’altro”.
La questione non è però così semplice, almeno a sentire Guido Scorza, professore presso il Master di diritto delle nuove tecnologie dell’Università di Bologna e presso la Scuola Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, intervistato da Internet Magazine: “(…) Logistep (…) ha presumibilmente trattato i dati di centinaia di migliaia di utenti che si sono poi rilevati del tutto estranei alle ipotizzate violazioni e, ad oggi, la sua attività è stata utilizzata esclusivamente per esigere da alcune decine di migliaia di utenti il pagamento di un importo di natura indennizzatoria rispetto alle violazioni asseritamente poste in essere il che, certamente, non costituisce esercizio di un diritto in sede giudiziaria così come prescritto dalla richiamata disciplina (quella sulla privacy, ndr.). In tale contesto, all’origine della vicenda di cui stiamo parlando sembra esservi una plateale violazione della disciplina in materia di trattamento dei dati personali alla quale la Logistep non sembra potersi sottrarre semplicemente sbandierando la propria ‘cittadinanzà svizzera”.