Nell’ex Birmania, oggi Myanmar, monaci buddisti e popolazione protestano almeno da 10 giorni contro il regime militare che detiene il potere nel paese. All’origine della protesta, il caro dei carburanti e dei generi alimentari. Il mese scorso la popolazione è scesa in strada e subita è stata seguita dai monaci dei tempi buddisti. Probabilmente il caro vita è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso e il popolo ha colto l’occasione per pretestare contro il regime, che dal 1962 governa la nazione con il pugno di ferro.
Mentre cortei e manifestazioni spontanee continuano lungo le strade della capitale Yangon (ex Rangoon) e delle principali città del paese, la situazione precipita. L’esercito è intervenuto e ha imposto il coprifuoco, sorvegliando a vista i tempi buddisti, centri attivi della protesta.
Ma questo non ha fermato il popolo e dopo cariche e lacrimogeni la polizia ha incominciato a sparare sulla folla. Già nove i morti, tra cui 2 reporter, ma il bilancio è destinato ad aggravarsi. La situazione è definitivamente precipitata, come molti temevano, ed ora il paese è nel caos, tra arresti di dissidenti, scontri con morti e feriti e caccia ai giornalisti stranieri da parte del regime. Si teme anche per il premio nobel per la Pace Aung Sang Suu Kyi, il cui destino è avvolto nel mistero dato la presenza di voci che la collocano in carcere o agli arresti domiciliari.
Il mondo nel frattempo si è espresso sulla vicenda. Stati Uniti ed Unione Europea hanno chiesto maggiori sanzioni economiche nei confronti del regime che tuttavia sono bloccate dal veto di paesi come Cina e Russia (singoli paesi o organismi internazionali hanno già inasprito le sanzioni). L’ONU da parte sua ha inviato un rappresentante nella regione, con lo scopo di verificare la situazione. Personalmente sono abbastanza perplesso sullo strumento delle sanzioni che rischiano di colpire più la popolazione che il regime come successo in Iraq. Meglio allora l’intervento dei caschi blu dell’ONU o una conferenza internazionale a cui possa partecipare anche il regime dell’ex Birmania. Entrambi le opzioni presentano grandi difficoltà ma meglio intervenire piuttosto che concedere al regime la possibilità di rimanere al potere e farsi i propri comodi. Per il momento insomma tante parole ma nel paese si continua a sparare e morire. Interessante sarà vedere gli sviluppi futuri della vicenda dato che tornare indietro è difficile.
Piccola riflessione. Lo stesso potrebbe accadere anche in Italia? Certo molti aspetti sotto diversi ma anche nel bel paese non si è protestato per il caro dei generi alimentari o della benzina? In Italia purtroppo si grida allo scandalo, qualche associazione o authority promette indagini approfondite e l’italiano medio si accontenta, subendo alla fine quegli stessi aumenti per cui era tanto indignato. In Myanmar invece dopo tante proteste il popolo è sceso in strada, ha detto basta e il regime non ha potuto fare finta di niente. In Italia non ci vorrebbe un pò più di coraggio come in Myanmar?
Da parte mia spero da una parte che il coraggio di questi uomini e donne venga premiato e dall’altra che la comunità internazionale partecipi in modo attivo alla vicenda.
Il Gorgonauta.