È una Palermo irriconoscibile quella che riempie fin su al loggione quello stesso teatro Biondo che tre anni fa rimase deserto quando Confindustria e Anm organizzarono un convegno su mafia e racket. Stavolta ci sono invece tutti: i rappresentanti di industriali e commercianti, i volti noti dell’associazionismo, ma anche tante facce di gente comune che finalmente ha trovato il coraggio di ribellarsi alla Mafia.
Un segnale forte c’era già stato il giorno della cattura di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, il primo considerato il capo della Cosa Nostra palermitana, quando un lungo applauso liberatorio aveva accolto le vetture della Polizia sulle quali si trovavano i boss e davanti agli uffici della squadra mobile c’erano centinaia di persone festanti per l’arresto.
Finalmente gli imprenditori siciliani hanno capito che bisogna iniziare a ribellarsi alla Mafia e non aspettare che le istituzioni facciano qualcosa perché purtroppo la maggior parte delle volte sono proprio loro ad essere corrotte.
Non si può continuare a considerare il “pizzo” come un costo fisso per chi vuole fare imprenditoria in Sicilia, perché, come scrissero su degli adesivi dei giovani palermitani, un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità.
Questa volontà di dire no al racket è un segno forte, di grande coraggio ed un duro colpo per la Mafia. ll racket frutta, infatti, ai clan 10 miliardi di euro. Una fetta importantissima dei guadagni della Mafia che con un utile di 90 miliardi di euro, una cifra equivalente a cinque manovre finanziarie per intenderci, si classifica al primo posto nella classifica dell’imprenditoria italiana.
Considerare il problema della collusione tra impresa e Mafia circoscritto solo alla Sicilia è sbagliato infatti, secondo “Sos impresa” è in continuo sviluppo la cosiddetta «collusione partecipata» che investe anche la grande impresa italiana, soprattutto quella impegnata nei grandi lavori pubblici, che a volte preferisce venire a patti con la mafia piuttosto che denunciarne i ricatti.
Anche per i lavori della Salerno-Reggio Calabria gli imprenditori sono stati costretti a trattare con le cosche calabresi. La Impregilo - sempre secondo Sos Impresa - aveva insediato nelle società personaggi che, secondo gli inquirenti “da sempre avevano avuto a che fare con esponenti della criminalità organizzata e con imprese di riferimento alle cosche”.
Il segnale più bello che viene da Palermo è dato dal fatto che questa volontà di ribellarsi alla Mafia viene dai giovani e visto che il futuro della Sicilia sono proprio loro la speranza per una maggiore giustizia in Sicilia appare possibile. Era il 1991 quando l’imprenditore palermitano Libero Grassi veniva ucciso per non aver voluto pagare il pizzo, ed oggi una Sicilia libera dal racket non è più un’utopia.
Vorrei concludere con una frase di Goethe che scorreva sullo schermo del teatro : “La paura bussò alla porta, il coraggio aprì, non c’era nessuno. Era il coraggio di un intero popolo”.
Radio Rebelde.