Come ben saprete da lunedì 10 dicembre a mercoledì 12 si è svolto lo sciopero degli autotrasportatori che chiedevano al governo una diversa e migliore regolamentazione del settore dei trasporti su gomma.
Tra i punti della vertenza: l’aumento del costo del gasolio e del lavoro, i pagamenti dei servizi di autotrasporto a tempi indeterminati, l’aumento dell’indebitamento per impresa che ha sfiorato i 200 mila euro, gli aumenti dei pedaggi autostradali e l’aumento dell’abusivismo e della concorrenza sleale da parte dei “camionisti dell’est”.
Nonostante il governo si vanti di aver tenuto il pugno duro gli autotrasportatori portano a casa 70 milioni in più nei prossimi tre anni - di cui 30 per il 2008 - e riduzioni sui pedaggi. Sommando le vecchie risorse previste per il comparto, la Cna Fita calcola che i contributi saliranno così a circa 441 milioni di euro, poco meno dei 500 milioni della richiesta iniziale alla base della protesta. Per trovare i fondi da destinare agli autotrasportatori, il Governo ha deciso di tagliare sull’assegno destinato alle tv locali, al riassetto della Salerno-Reggio Calabria, e alla sicurezza stradale.
Non so se quanto deciso sia più o meno giusto ma so di certo che come al solito si è scelta la strada del compromesso che scontenta tutti senza invece affrontare i problemi strutturali.
Dai dati forniti da Legambiente sappiamo che si spostano su rotaia il 22 per cento delle merci tedesche, il 24 per cento di quelle francesi, il 38 di quelle svedesi e ben il 50 per cento di quelle svizzere. A confronto il 9 per cento dell’Italia è un dato imbarazzante, anche perché si coniuga con il 72 per cento totalizzato dalle merci che viaggiano lungo strade e autostrade. Rinforzando il trasporto su rotaia si avrebbero numerosi vantaggi:
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Si ridurrebbe ridurrebbe l’inquinamento
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Si potrebbero aumentare i salari e migliorare le condizioni lavorative degli autotrasportatori
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Ci sarebbero maggiori ricavi per le ferrovie che la finirebbe di rincarare i biglietti dei poveri pendolari.
Ma come sempre in Italia si preferisce non affrontare i veri problemi rimandando tutto al dopo. Tanto alla fine quelli che ci rimettiamo siamo sempre noi povera gente. E’ stato calcolato che l’Italia in seguito ai blocchi di questi giorni ha perso almeno un miliardo di euro per ogni giorno di sciopero. I primi a pagare, assicura Carlo Rienzi, presidente dello stesso Codacons, saranno i cittadini che rischiano un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari fino al 30% con un aggravio di 20 euro a famiglia. I benzinai hanno perso 500 milioni di fatturato mentre i mancati incassi dei supermercati, sono nell’ordine di 1,7 miliardi.
Una vera batosta l’ha sofferta l’intera filiera agro-alimentare. Secondo Copagri, infatti, gli scioperi sono costati circa 200 milioni al giorno. Lo confermano i Tir carichi di frutta e verdura immangiabile. E lo certifica la grande quantità di latte e formaggio non commerciabili. Per non parlare dei danni alle imprese ; per la Fiat, ad esempio, si tratta di migliaia di macchine che dovevano essere prodotte e non lo sono state. Sarà possibile recuperare? Forse, ma non è detto. Perché i mercati sono una brutta bestia. Lo sciopero ha bloccato anche il lavoro negli stabilimenti di Fiat Auto, e per questo sono stati messi in libertà circa 22.000 lavoratori. Per non parlare della situazione di chi produce panettone e pandoro e si gioca il bilancio di un anno proprio in questo periodo.
Fermo restando che scioperare è un diritto irrinunciabile soprattutto in una paese come il nostro che si fonda sul lavoro, è però indispensabile che questo diritto venga esercitato nella legalità.
Non è lecito provocare blocchi stradali tanto illegittimi quanto pericolosi, commettendo una serie di reati previsti dal codice penale che verrebbero contestati a qualsiasi singolo cittadino, sodalizio o associazione privata per di più impedendo la distribuzione di generi essenziali come i carburanti o i prodotti alimentari. Perché così facendo la controparte, allora, non è più il datore di lavoro e neppure il governo, ma diventa il cittadino.
Radio Rebelde.