L’ambiente a volte viene messo in primo piano. Questo è accaduto con la 13° Conferenza internazionale sul clima promossa dall’ONU e tenutasi dal 3 al 15 dicembre a Bali. Lo scopo era quello di prevedere l’inizio di negoziati, per ottenere entro 2 anni, nel 2009, un nuovo accordo sul clima in grado di sostituire Kyoto che scadrà nel 2012. Obiettivo a lungo cercato, quasi mancato e alla fine raggiunto. Tuttavia la conferenza, si ricordi, non ha stabilito degli obiettivi e delle regole da rispettare ma ha prodotto solo un documento in cui gli Stati firmatari si impegnano a dare vita ad un nuovo accordo entro il 2009. Ma come si dice, meglio poco che niente.
La nostra storia comincia nell’ormai lontano 1997 quando nel corso della 3° conferenza viene firmato da più di 160 paesi il protocollo di Kyoto, un trattato internazionale che impegna i paesi industrializzati ad abbassare nel quadriennio 2008-2012 le loro emissioni di gas serra, almeno del 5,2% rispetto al 1990, anno preso a parametro per i livelli di emissioni. I paesi in via di sviluppo invece vengono invitati a non ridurre le emissioni, per evitare di ostacolare la loro crescita economica. Viene previsto inoltre che il trattato entri in vigore solo quando ratificato da almeno 55 nazioni in grado di produrre il 55% delle emissioni di gas serra globali e l’obiettivo viene raggiunto nel 2005 quando il trattato viene ratificato dalla Russia. Nel corso di questi anni molti paesi hanno ratificato Kyoto (tra essi anche l’Italia nel 2002) e per ultima l’Australia che proprio a Bali ha consegnato al segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon la sua ratifica. Tuttavia su Kyoto pesa il rifiuto degli Stati Uniti, paese tra i principali produttori di gas serra.
Proprio per il gran rifiuto americano e per la massima libertà concessa ai paesi non industrializzati il protocollo di Kyoto viene da molti considerato un fallimento. E così mentre alcuni abbassano già le emissioni altri invece, incuranti del futuro che li attende, le aumentano o le mantengono costanti (andando però incontro a gravi sanzioni se entro il 2012 non manterranno gli impegni assunti). Tra previsioni sempre più pessimistiche si arriva al 2007, quando si delinea la necessità di un nuovo accordo, per molti il definitivo segnale che Kyoto non ha raggiunto i suoi scopi.
A Bali, come detto, si è rischiato il fallimento. Mentre l’Europa chiedeva di prevedere limiti e riduzioni dei gas serra tra il 25% e il 40% entro il 2020 sulla falsariga di Kyoto gli Usa si opponevano a qualsiasi accordo rigido e con un meccanismo sanzionatorio. Alla fine, dopo l’intervento di Ban Ki-moon e per non deludere le aspettative mondiali, gli europei hanno ritirato la loro proposta e gli Stati Uniti si sono impegnati a prendere parte ai futuri negoziati. Tuttavia molta strada è ancora da compiere mentre la scelta di non escludere gli Usa, come richiedeva Al gore, è stata sicuramente saggia. Alla fine purtroppo molte incognite sul futuro e le divisioni sul clima (ad es tra europei e americani e tra paesi industrializzati e non) rimangono aperte.
Nel frattempo gli ultimi dati resi sono noti da scienziati e climatologici di tutto il mondo sono abbastanza preoccupanti. Tra grandi quantità di CO2 presenti nell’atmosfera e scioglimenti dei ghiacci le previsioni non sono rosee e quanto ci si propone di fare con Kyoto forse ormai è pura utopia. Tuttavia solo i prossimi anni saranno quelli decisivi e daranno risposte, in primis se esiste una reale volontà da parte degli Stati di correre ai ripari oppure no. Altrimenti non rimane che attaccarsi al vecchio adagio la speranza è l’ultima a morire.
Il Gorgonauta.