Il Caso Alitalia 3.
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Il Caso Alitalia 3.

). Ma tranquilli ho come l’impressione (a dire la verità la certezza) che questo non sarà l’ultimo capitolo.

C’eravamo lasciati con Air France che ci dava (giustamente) il ben servito e con la promessa di Berlusconi di una cordata tutta italiana.

In effetti la cordata tutta italiana c’è stata. Ecco i nomi dei partecipanti a questa cordata: Roberto Colaninno (attraverso Immsi), che sarà il presidente della nuova società: Gruppo Benetton attraverso Atlantia; Gruppo Aponte; Gruppo Riva; Gruppo Fratini attraverso Fingen; Gruppo Ligresti attraverso Fonsai; Equinox; Clessidra; Gruppo Toto; Gruppo Fossati attraverso Findim; Marcegaglia; Caltagirone Bellavista attraverso Acqua Marcia; Gruppo Gavio attraverso Argo; Davide Maccagnani attraverso Macca; Tronchetti Provera; Intesa Sanpaolo.

Il piano per il rilancio della nostra compagnia è stato nominato “Piano Fenice”, come l’uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte.

Il Piano Fenice separa le attività di Alitalia conferendo a una bad company le attività in perdita e la situazione debitoria, con una collocazione a oggi non del tutto definita se non nella certezza che i debiti di Alitalia, stimati in oltre 1 miliardo di euro, verranno a gravare sui contribuenti italiani ( l’importante è non pagare l’ICI giusto?).

Per semplificare Alitalia è come se venisse divisa in due gemelli, il gemello buono che andrà alla cordata degli imprenditori italiani e il gemello cattivo, la bad company, in dote ai contribuenti.La solita storia all’italiana insomma; dei capitalisti senza capitali, acquistano a prezzo superscontato un monopolio di fatto, con l’aiuto delle solite banche, il tutto a spese del contribuente.

Ma proviamo a chiudere un occhio, tanto ormai di questi inciuci tra potenti noi italiani ci siamo abituati e vediamo in cosa consiste nello specifico questo piano.

L’Alitalia partorita dal Piano Fenice sarà un vettore incentrato sul mercato italiano e con una riorganizzazione dei voli interni su sei scali principali (Roma, Milano, Torino, Venezia, Napoli e Catania) e vedrà la fusione delle attività con il secondo vettore italiano, Airone, costituendo in questo modo un sostanziale monopolio sulla rotta Milano-Roma, il boccone più ghiotto del mercato italiano. Questo modello di business risulta per sua natura fortemente esposto alla congiuntura nazionale, in un paese che non brilla nel panorama europeo per i suoi tassi di crescita, e tende a competere nei collegamenti point to point con le compagnie low cost già oggi presenti su numerose tratte italiane.

Infine, la ristrutturazione e il contenimento dei costi porteranno a esuberi finora quantificati in 7mila unità, con l’applicazione di ammortizzatori sociali e ricollocazione in altre attività come nell’ Agenzia delle Entrate, nelle Poste e nel Catasto, alla faccia della riduzione dei costi della Pubblica Amministrazione (qualcuno l’ha detto al Ministro Brunetta?!)

Non a caso, gli imprenditori che partecipano alla cordata hanno posto alcune condizioni per unirsi alla partita: l’individuazione di un partner internazionale, presumibilmente Lufthansa o Air France, che comunque oggi manca, la sospensione della normativa antitrust nella valutazione dell’operazione, applicando per la prima volta l’articolo 25 della legge italiana, e la riforma della legge Marzano per favorire il passaggio dalla vecchia Alitalia ai due gemelli.Operazione che entra in forte conflitto con le normative europee e gli impegni a suo tempo assunti da Alitalia con l’aumento di capitale del 2004 e con il prestito ponte di questa primavera. Come pensino gli imprenditori della cordata di coprirsi dai rischi di un intervento di Bruxelles non è dato sapere. Come non è chiaro se esistano tavoli di compensazione a cui almeno alcuni dei partecipanti alla cordata pensino di accedere nel proprio business principale in cambio della buona volontà dimostrata.

È notizia degli ultimi giorni che Air France ha manifestato un interesse a riaprire il dialogo e anche ad assumere eventualmente una partecipazione di minoranza. Tutto ciò non sorprende, dal momento che, rispetto al piano che aveva presentato a primavera, Air France si troverebbe a trattare senza doversi accollare i debiti di Alitalia, potendo contare su margini elevati nel mercato interno derivanti dalla posizione dominante che a compagnia acquisterebbe nel mercato interno attraverso la fusione con Airone, e con una riduzione del personale ben più ampia di quella che aveva inizialmente prospettato. Quindi i difensori dell’Italianità possono stare tranquilli l’ennesimo pasticcio all’Italiana è stato servito.

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