Digitale Terrestre - come ti frego con due leggi e un decoder (I parte)
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Digitale Terrestre - come ti frego con due leggi e un decoder (I parte)

Non so se siete informati su quello che negli ultimi anni sta interessando le trasmissioni televisive nazionali, ma per decreto europeo l’Italia, insieme a tutti gli altri paesi dell’Europa, è tenuta a passare - entro una certa data, concordata con gli organi sovranazionali preposti -  al digitale terrestre, abbandonando l’ormai ultrasettantenne analogico terrestre, il formato a cui anni di teledipendenza ci hanno amorevolmente abituato.

Analogamente Digitale

foto-plenaria-strasburgo“Ma a che cavolo serve passare dall’analogico al digitale?” - vi chiederete voi, a quel punto per i poteri conferitim… ehm, perché sono un bravo autore, vi risponderei: “Ma per migliorare la fruizione del servizio televisivo, aumentando la qualità delle immagini - non dei programmi, lì non c’è tecnologia o miracolo che tenga - e rendendo il servizio molto più interattivo di come lo conosciamo ora”.

In realtà come in ogni storia che riguarda il Bel Paese insieme alla novità ed all’avanzamento tecnologico ci devono essere sempre i soliti giochetti di potere, i magna-magna e le lavande di mani del caso, ma andiamo con ordine.

E l’Europa disse “fiat digitalis”, ma digitale non fu

La Commissione Europea nel disperato tentativo di trainare l’Europa (e di conseguenza i paesi che ne fanno parte) verso il futuro, emana un decreto che impone ai paesi membri la conversione dalla televisione analogica alla digitale “entro” - le virgolette sono indispensabili - il 2012.

Dato che il decreto comunitario venne approvato durante l’allora primo governo Prodi, il team capitanato da Romano si rimboccò le maniche e partì con la sperimentazione: Torino, ma con scarsi e non troppo incoraggianti risultati, ma la tecnologia era ancora immatura, un po’ come il governo del periodo.

Poco tempo dopo cade il fragile governo sinistrorso e il testimone passa alla compagine del Cavaliere, il buon messer Gasparri (allora ministro delle comunicazioni) verga nero su bianco una legge a cui viene assegnato il suo cognome, “la legge Gasparri”, legge di riordino

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del sistema televisivo italiano, in cui vengono imposti due limiti imprescindibili sul futuro digitale terrestre:

  • Viene imposto il tetto del 40% di attività da affittare a terzi;

  • Viene introdotto il Sistema Integrato delle Comunicazioni (SIC!), secondo cui i ricavi di ciascuna emittente possono arrivare al massimo al 20% dei ricavi totali facenti parte del SIC, calcolato dall’antitrust.

Mica pizza e fichi!

Peccato che se da un lato “La Gasparri” imponga il rispetto del principio del 20% introdotto dalla Corte Costituzionale, dall’altra parte, con l’introduzione del SIC, ha elevato il totale su cui quel 20% viene calcolato, consentendo de facto ulteriori possibilità di crescita per gli attori che attualmente ricoprono una posizione dominante sul mercato televisivo analogico italiano (suggerimenti? RAI e Mediaset).

Inoltre, ad onor del vero, va sottolineato che l’opera confezionata da mastro Gasparri è adorna di una splendida clausola sui servizi Pay-Per-View, le televisioni a pagamenti per intenderci, questi infatti non rientrano tra le attività di quel 40% da affittare a terzi.

C’è da chiedersi: “Chi è che possiederà mai dei canali Pay-Per-View in Italia?”

Ma Mediaset e Telecom, che domande: con all’attivo rispettivamente 5 e 7 canali su cui trasmettere programmi a pagamento possono sorpassare agilmente le regole imposte dall’irritante Commissione Europea…

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