Notte, un ragazzo sta scappando da qualcuno o qualcosa, è spaventato, ansima, si rifugia in un vicolo, ma il suo destino è già segnato,due colpi di pistola, precisi, silenziosi, letali.
E che dire delle coincidenze, del destino beffardo: nello stesso istante in cui il carnefice stava esplodendo l’ultimo colpo, un ragazzo qualunque passa nelle vicinanze, vede la scena, ha paura, scappa; anche per lui sono gli ultimi istanti fatali, stessa sequenza, stessa lucida pazzia: due colpi; e la luce si spegne!
The State of Play
Quello che avete letto sopra è l’incipit dell’intricata vicenda che lega tramite un ordito a trama fitta le vite del membro del congresso Stephen Collins – interpretato da un onesto Ben Affleck, Della Frye – la blogger professionista impersonata da Rachel McAdams – ma soprattutto di Cal McAffrey – intepretato da un rotondeggiante Russel Crowe – nel molteplice ruolo di narratore, protagonista e deus ex machina.
Dovete sapere che il buon Cal, il grassoccio, confusionario e trasandato Cal McAffrey, è uno dei migliori giornalisti investigativi del Washington Globe, storico giornale della capitale americana. Purtroppo, come per tutti, il tempo passa e anche il miglior giornale ed il miglior giornalista possono essere soppiantati dalla frenetica rivoluzione del web.
Internet ed i blog stanno cambiando il modo in cui le notizie vengono scritte, comunicate e lette e “l’analogico” Cal si sente sempre più spaesato in un mondo digitale di cui stenta a tenere il passo.
Per fortuna – o sfortuna, dipende sempre dai punti di vista – ci penserà un inaspettato intrigo nazionale a scuotere la sedentaria vita del bolso giornalista che, inviato dal proprio giornale per stendere un articoletto sulla morte dei due ragazzi di cui sopra, si ritrova invischiato in una storia dai risvolti nero-scuri.
Giornalismo d’annata
Non vi rivelo nessun altro aspetto della trama per non rovinarvi neanche un minuto di un film che – come diceva la pubblicità – piano, piano, buono, buono, vi porterà dai bassi fondi della capitale fino alle alte sfere del Congresso – sì, quello con la C maiuscola.
Seguendo il montaggio “andante ma non troppo”, ci ritroviamo a partecipare all’investigazione giornalistica dello stanco ed acciaccato Cal, che tra un colpo di fortuna ed un epifania inquisitiva riesce a portare noi – ma soprattutto la sua pellaccia – fino alla conclusione di una storia fatta di amori, tradimenti, denaro, armi e tripligiochisti.
Ancora una volta tanto di cappello ad un Russel Crowe sempre intenso ed appassionato, magnifico nel ruolo del giornalista investigativo vecchio stampo. In una continua lotta intestina tra giornalismo e amicizia, alla strenua ricerca della verità, quella reale, nuda, quella che più ferisce perché ci racconta la natura sudicia e prepotente dell’animo umano.
Un film ruvido quindi, ruvido come ruvida è la vita, quella meschina faccia della medaglia che nessuno vuole vedere, ingozzati come siamo di buonismo ed apparenza.
Che dire di più se non consigliarvi la visione di questo ottimo film – sempre che non l’abbiate già fatto – lasciandovi con un pensiero che mi è balenato durante i titoli di coda che seguono le fasi di stampa dell’articolo di Cal: nella società di oggi fatta di lobby, poteri forti e omertosi lavaggi di mani,dove sono finiti i giornalisti come Cal, coraggiosi disperati che sapevano fare le domande scomode?