Il governo annuncia di voler ridurre, se non eliminare del tutto, l’Irap, ossia l’imposta regionale sulle attività produttive, ricevendo così gli applausi di Confindustria che sollecita di passare prontamente dalle parole ai fatti. Ma in periodo di crisi economica e cali della popolarità occorre prestare maggiore attenzione ad annunci facilmente demagogici.
Un primo ostacolo all’eliminazione dell’Irap è dato dal fatto che l’imposta, seppur alquanto malvista, fa incassare allo Stato 38 miliardi di euro, cifra più che interessante. L’Irap infatti è la terza imposta per gettito dopo l’Ire e l’Iva e qualora venisse cancellata bisognerebbe raggranellare in altro modo la stessa somma. In secondo luogo l’Irap finanzia le regioni, coprendo una parte cospicua (circa il 40%) della spese sanitaria nazionale.
C’è anche chi ha proposto di finanziare la riduzione dell’Irap con gli introiti provenienti dalla scudo fiscale, ma in tal caso si porrebbe comunque il problema di come sostituire in modo definitivo, non tramite un’occasionale incasso, i costi coperti da questa imposta permanente.
Altre soluzioni invece comporterebbero l’aumento dell’Iva dal 20 a l 27% o la reintroduzione dei contributi sanitari, con l’effetto però di accrescere di nuovo il cuneo fiscale sui salari.
Insomma un’imposta non si può togliere dall’oggi al domani e comunque non priva di aver adeguatamente indicato come coprire il buco da questa lasciato scoperto. Fa comodo d’altronde la sanità pubblica, no? Inoltre in tempi di crisi economica alleggerire la pressione fiscale su piccole, medie e grandi imprese potrebbe rivelarsi importante, ma non risolutivo se la misura non venisse accompagnata da analoghe disposizioni a favore dei lavoratori, dei pensionati e delle famiglie.