Sherlock Holmes
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Sherlock Holmes

Rivisitazione in salsa Ritchie – quel Guy della Madonna – del detective per antonomasia, padre di tutti i tenenti Colombo e signore Fletcher: Sherlock Holmes.

Elementare Watson!

Chissà cosa penserà il caro Arthur Conan Doyle di questo Sherlock dei giorni nostri, affetto da un incurabile “mal du siècle”, un po’ sudicio, alquanto trasandato, dedito alle droghe, nonché rissoso ed incazzereccio.

Il bravo Robert Downey Jr. rivisita in chiave steampunk – genere che personalmente trovo molto affascinante – il personaggio creato dalla penna di Doyle una dozzina di decenni fa, in quella stessa Londra in fermento, grigia per l’intenso uso di carbone, dominata dalla ragione e dall’utilitarismo dell’epoca vittoriana.

In questa – prima – avventura dei nuovi Sherlock e Watson – interpretato da un Jude Law più posato ed adulto del solito – il dinamico duo ottocentesco si ritrova alle prese con l’occulto e l’esoterismo, incarnati dal personaggio di Blackwood – Mark Strong – un lord inglese dedito a riti satanici perpetrati su povere figliole innocenti.

I due eroi sventano l’ultimo rituale di “Legnonero”, spedendolo con un biglietto di sola andata verso il patibolo. Ovviamente il cattivo non poteva morire dopo appena 20 minuti di film: il giorno dopo aver simpaticamente funto da pendaglio da forca,l’arcigno Blackwood resuscita dal mondo dei morti creando non pochi grattacapi allo frastornato Sherlock.

Non c’è nulla di più innaturale dell’ovvio

I rimandi alla storia “classica” della letteratura ci sono tutti, disertando – e questo non è un male – dall’iconografia cinematografica classica dello Sherlock alto ed allampanato, un po’ spocchioso e condiscendete verso un Watson tordo e grassottello.

Dismessi la pesante palandrana, il cappello da caccia e la pomposa pipa calabash – la pipona a forma di proboscide vista in mille salse –lo Sherlock del 2010 è un genio bohemien, tanto freddo e razionale nei propri ragionamenti – perfino nei momenti più concitati della lotta – quanto rozzo e sudicio nella vita di tutti i giorni.

La coppia di detective creata da Ritchie è intrisa di feeling e sinergie, fino ad arrivare ad un Holmes geloso della – futura – sposa di Watson.

L’inconfondibile charme di cui è attorniato il collaudato Downey Jr. esalta tutti i personaggi che interpreta, ma – e questo è un mio personalissimo parere – nel caso di Sherlock sembra mettere il protagonista in secondo piano, per far risaltare l’attore piuttosto che il personaggio.

L’interpretazione non ne risente troppo ed anzi aiuta a mantenere sempre alto il livello di “wit” tipicamente inglese, soprattutto nei taglienti scambi di opinioni tra il protagonista e la sua immancabile spalla Watson.

Certo non sarà un’opera formidabile – più di una volta mi sono trovato ad osservare dei cori di sbadigli spargesi per la sala del cinema –, risentendo di un montaggio altalenante, un po’ troppo “sporco” nei momenti più concitati e altrettanto indolente nelle scene d’intermezzo.

Concludendo, un “bravo” alla coppia Downey—Law ma soprattutto a Ritchie, che ritorna alla letteratura classica, abbandonando gli stereotipi cinematografici, e rivisitandola con una storia inedita dal finale aperto – in cui viene introdotto il Prof. Moriarty, la nemesi di Sherlock.

Un film dal compito non facile, che riesce a svecchiare una serie ma soprattutto dei personaggi con una consolidatissima tradizione letteraria e cinematografica, portando nuovi spettatori verso un mito senza tempo come quello del detective per antonomasia: Sherlock Holmes!