C’è un Italia, come spiega Carlo Verdone, cattolica per definizione ma nei suoi comportamenti profondamente amorale. C’è un Italia, come spiega Margherita Hack, in cui non si potranno mai fare leggi veramente laiche, tramandando così discriminazioni e disuguaglianze. C’è un Italia, come dice Paolo Rossi, in cui il popolo si è trasformato in pubblico, vota, applaude e va a dormire. Qualche volte si indigna anche ma poi il tutto si trasforma in qualche lieve brontolio. Un popolo che sa indicare i concorrenti del Grande Fratello ma che non sa dare un significato alla festa del 2 giugno.C’è un Italia, come spiegano Don Luigi Ciotti e Roberto Saviano, dell’omertà e della paura, che osserva e sa ma non parla. C’è un Italia tuttavia fatta anche da coloro che si battono per contrastare la criminalità e la mafia, anche a rischio della propria vita, ma senza paura, come Falcone e Borsellino. C’è un Italia, come racconta Giovanni Soldini, in cui ancora si considera e ci si batte per il prossimo. C’è un’Italia, come racconta una giovane ragazza albanese, di immigrati che pur non essendo nati in questo paese arrivano a sentirlo come il proprio ed ad amarlo. Un Italia però anche razzista, in cui i suoi partiti politici cavalcano e incentivano paure e fobie popolari. Invece di costruire solide certezze per il futuro.
C’è un Italia smarrita che si interroga sul proprio avvenire.
C’è un Italia che non si riconosce in coloro che la governano ma in coloro che l’abitano.
C’è l’Italia della Costituzione, per molti oggi un semplice fastidio da cancellare o riformare al più presto. O che ci lascia in imbarazzo. Perché i suoi principi fondamentali, tutti votati al buon senso e al buon vivere civile, appaiono ad oggi una lista di utopie non realizzate e realizzabili.
C’è l’Italia dove sono un comico o un cantante a doverci ricordare i valori e i principi sui quali si basa una democratica e civile società. In cui partecipazione e condivisione sembrano un ricordo del passato.
C’è l’Italia delle autobombe e delle stragi che uccidono la speranza, degli arresti dei boss mafiosi, dell’immigrazione, delle vittorie sportive, degli scioperi e delle lotte sindacali.
e c’è un Italia che canta Luciano Ligabue. Le cui canzoni, concerti e riflessioni costituiscono il filo attraverso il quale uomini e avvenimenti scorrono sullo schermo. Da Niente Paura a Una Vita da mediano, da Ballando sul Mondo a Non è tempo per noi.
Volti, idee e fatti attraverso i quali raccontare gli ultimi trent’anni della nostra storia. Ma non solo. Un modo anche per indagare su cosa eravamo e in quale direzione stiamo andando. E per affamare nuovamente l’amore e l’affetto che ancora si prova per questo paese, nonostante tutte le sue contraddizioni e le sue ingiustizie.
La pellicola certo rischia di finire di parlare di tutto e di niente (pretendere di poter raccontare in 85 minuti gli ultimi trent’anni di storia italiana è forse un po troppo) e di trasformarsi in un messaggio politico. Ma la sua forza in realtà sta nel rivolgersi allo spettatore, nel dialogarci e nel costringerlo ad un confronto ed ad una riflessione.
E la musica, come spiega Ligabue, è un potente veicolo attraverso il quale condividere emozioni e sentimenti, uno strumento per aiutarci e talvolta consolarci. Un mezzo infine per continuare a sognare e sperare. Nel futuro, nelle persone, nelle cose, nel mondo.
Perché come dice Fabio Volo, le persone non si svegliano la mattina se non sono consapevoli di avere un futuro. E se hanno perso tutte le loro speranze.