Sono passati 21 anni e lo squalo di Wall Street Gordon Gekko ha terminato di scontare la sua pena detentiva. Ormai ai margini della comunità finanziaria tenta comunque di mettere in guardia Wall Street dall’arrivo della grande crisi, ma sembra che nessuno voglia ascoltarlo. Gekko tenta allora di riallacciare i legami con sua figlia la quale è legata sentimentalmente a Jacob Moore, giovane professionista di Wall Street.
Per la prima volta nella sua carriera, Oliver Stone torna sui suoi passi per dirigere il sequel di uno dei suoi film di maggior successo, rimettendo mano a un personaggio che ha rappresentato una sorta di icona (negativa) della sua epoca.
Gordon Gekko è diventato il simbolo della crisi causata dalla speculazione selvaggia degli anni ottanta, ma il suo ritorno segna un netto cambiamento nelle tecnologie di come si gestisce la finanza, sebbene i modi siano rimasti praticamente gli stessi.
Oggi le transazioni sono virtuali, internet è diventato un mezzo per cui la finanza è ulteriormente più rapida e potente, ma anche fragile in quanto il tam-tam virtuale che può nascere da una voce di corridoio può essere amplificata all’infinito.
Stone preferisce alla crudele, doverosa denuncia della cupidigia di Wall l’accomodante e un filo consolatorio buonismo formato famiglia, con un bebé in arrivo, l’esame di coscienza , seppur ambiguo, di Gekko e il vissero felici e contenti nonostante la crisi. Credibile il ritorno di Douglas, (i soldi li sa fare ancora il suo Gekko, ma perde drasticamente in appeal), viceversa troppo giovani per la parte LaBeouf ( bravo ma poco credibile in questo ruolo ) e la Mulligan.
E’ risultato vano il tentativo di Stone di dare nomi e cognomi definibili e individuabili alla crisi e alla speculazione in quanto, come lo stesso regista riconosce, il capitalismo si è fatto ancor più crudele e deleterio di quello di Gordon Gekko.