Ma quali divisioni tra Pdl e Fli, ma quale spaccatura insanabile tra maggioranza e opposizione, quando devono tutelare i propri interessi e quelli dei loro amici, i politici si dimostrano compatti.
Così anche se non si trovano i soldi per chi ha perso il lavoro, per mettere in sicurezza fiumi e ponti, per salvaguardare le nostre bellezze culturali, il Governo, sotto la spinta dei finiani e dell’opposizione unita, ha aumentato il fondo per i contributi pubblici all’editoria di altri 100 milioni, oltre ai 195 già previsti. A questi vanno aggiunti 30 mln di credito d’imposta per la carta e 5 mln per i giornali all’estero.
Tutto questo per stipendiare gente come Belpietro e Sallusti, per leggere le opinioni personali di Ferrara o Polito, per salvare giornali come Il Manifesto e il Secolo d’Italia.
La tempistica, poi, è importante: da mesi è pronto il nuovo regolamento sull’editoria che dovrebbe fare pulizia nel settore, eliminando almeno in parte lo scandalo di giornali che intascano soldi senza neppure arrivare in edicola. Contributi in base alla diffusione in edicola e non alla tiratura che viene spesso gonfiata da copie omaggio o vendute in blocco a prezzo ribassato. Il testo elaborato dal dipartimento editoria di Palazzo Chigi, doveva arrivare in Consiglio dei ministri la scorsa settimana, invece è slittato alla settimana prossima. E così, nell’attesa, i fondi sono stati stanziati secondo le vecchie regole.
Esultano tutti. “Un po’ di ossigeno”, titola Liberazione, quotidiano di Rifondazione comunista, in prima pagina.
Per i finiani la priorità era salvare il Secolo, un giornale che vende circa 1.800 copie e nel 2009 ha chiuso il bilancio in perdita di un milione di euro, con un credito verso lo Stato maturato nel 2009 per contributi pari alla rilevante cifra di 3 milioni di euro. A voler essere pignoli, poi, bisogna ricordare l’altro giornale che interessa ad almeno uno dei finiani, il Roma della famiglia di Italo Bocchino, diffuso soprattutto a Napoli. Circa 8.000 copie di venduto reale, debiti per 7,5 milioni, 354 mila euro di perdite e un imprescindibile stampella pubblica da 2,5 milioni di euro. Tra i soci dell’editoriale figurano la moglie di Bocchino, Gabriella Buontempo e il cognato Antonio Schiavone.
Tra i miracolati c’è anche Il Manifesto, con 19 milioni di euro di debiti e perdite per oltre 300 mila euro all’anno.
Con questo non voglio dire che giornali come il Foglio, Il Riformista, Il Manifesto ecc debbano chiudere, più informazione c’è meglio è, ma così come l’operaio cerca di arrivare a fine mese facendo i salti mortali credo che questi signori dell’editoria possano alzare il sedere dalle loro poltrone e darsi da fare invece di rubarli alla comunità.