L’accusa è gravissima: l’utilizzo di gas nervino sulla popolazione civile e sui ribelli. Il bilancio sarebbe pesantissimo: 1300 morti e più di 6000 feriti. A riprova di quanto sostenuto, le tv arabe trasmettono immagini di corpi accatastati sui quali non sembrano comparire ferite da armi da fuoco. Il tutto avvalorerebbe la tesi dell’uso di armi chimiche.
L’accusa proviene dai ribelli siriani che si oppongono al regime di Damasco. Questi spiegano come le informazioni provengano dai centri medici dei luoghi colpiti e accusano le forze del presidente Bashar al-Assad.
L’attacco sarebbe avvenuto in una roccaforte ribelle nella regione di Guta, un’area rurale che si estende a est della capitale. Il gas avrebbe colpito i sobborghi di Ghouta, Ain Tarma, Zamalka e Jobar. Sul numero di morti (da poche decine a migliaia), è guerra di cifre. Un conflitto nel conflitto.
Le accuse vengono avvalorate da una volontaria italiana, che testimonia come i medici del luogo si siano trovati di fronte a persone con sintomi compatibili a un attacco con i gas: vomito, incontinenza e asma.
Il governo siriano ha subito smentito la notizia, affidandosi a un comunicato rilanciato dall’agenzia e dalla tv di Stato. “Le informazioni sull’utilizzo di armi chimiche a Ghouta sono totalmente false” ha replicato Damasco.
Che siano veritiere o meno, le accuse hanno comunque sortito l’effetto di mettere in allarme la comunità internazionale. Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna hanno richiesto con urgenza la convocazione di una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu a porte chiuse. La loro richiesta è stata accolta.
Le Nazioni Unite stanno cercando di far luce sulla vicenda. Da tre giorni si trova in Siria una missione di esperti dell’Onu incaricata di verificare se sono state usate armi chimiche nel conflitto tra lealisti e ribelli, che si sono più volte accusati reciprocamente. Gli ispettori sono arrivati domenica, ma i movimenti e le attività della squadra, guidata dallo svedese Ake Sellstrom, sono tenute segrete.