Smetto quando voglio
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Smetto quando voglio

Roma. C’è una nuova droga in città, una roba che così non s’era mai vista. E poi dicono che la ricerca non da i suoi frutti.

Smetto quando voglio

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Protagonista del film è Pietro, neurobiologo e ricercatore trentasettenne a tempo determinato dell’Università La Sapienza di Roma. Pietro fa parte dell’eccellenza della ricerca italiana, in 10 anni ha sviluppato un algoritmo per la teorizzazione di molecole farmaceutiche ma i tagli alla ricerca ed il sistema clientelare accademico lo ostracizzano. Da un giorno all’altro si trova senza un lavoro e senza una prospettiva, messo ai margini della società. E’ nel momento di massimo scoramento che Pietro ha una pazza idea: usare il proprio algoritmo per sintetizzare una droga legale, una “smart drug”, che gli permetta di raddrizzare i torti subiti dalla marcia società in cui è cresciuto.

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Con una leggerezza a metà tra l’ingenuo ed il disperato, Pietro costituisce una banda di “eccellenti disperati”: Mattia e Giorgio, latinisti pagati in nero per il turno notturno presso una pompa di benzina, Andrea, antropologo disoccupato che spera in un irraggiungibile impiego da sfasciacarrozze, Arturo, archeologo all’undicesimo rinnovo da precario, Bartolomeo, macroeconomista esperto di sistemi probabilistici ridotto a giocarsi (e perdere) a poker i pochi euro che ha in tasca e Alberto chimico ed ex-collega di Pietro ora lavapiatti in un ristorante cinese. Con le loro conoscenze, la banda sintetizza la nuova droga e s’inventa un astuto metodo per invogliare i giovani romani a comprarla. Tempo di pronunciare C11H15NO2 e i 7 si ritrovano in un inaspettato turbine di soldi, droghe e prostitute. Riuscirà Pietro a “smettere” prima dell’inevitabile mesto epilogo?

I Soliti Ignoti dell’anno 2000 (e 14)

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Smetto quando voglio è – per fortuna – l’eccezione che conferma la regola. In una selva di commedie-all-italiana tutte uguali, il film, prima prova del regista salentino Sydney Sibilia, riesce nel difficile compito di portare una ventata di freschezza, anche se non proprio originalissima, nel panorama cinematografico italiano. Fotografia e sceneggiatura ricalcano quanto già visto in serie TV come l’osannata Breaking Bad o al cinema nell’altrettanto premiata serie di Ocean’s di Clooney e perché no anche un po’ di quel “I Soliti Ignoti” che continua a fare scuola nel cinema internazionale.

Grazie ad un montaggio dinamico, la trama del film si svolge con rapidità, senza tempi morti ma intervallando spesso l’azione con momenti esilaranti, primi tra tutti quelli con protagonisti Alberto e Pietro (probabilmente in quest’ordine), ma la pellicola è corale e metà del successo del film deriva dalla grande sinergia sui tempi comici e dalla caratterizzazione dei personaggi. Nel film si ride, anzi si Ride, con la R maiuscola. Certo, nulla di assolutamente inedito per chi ha visto la serie di “Una Notte da Leoni” (in particolare per il personaggio di Alberto che non mancherà di ricordare quello di Galifianakis nella pellicola americana) ma il merito del film è proprio saper dosare gli ingredienti provenienti da contesti così diversi del cinema (americano) in una pellicola che riesce a raccontare un problema nostrano (tagli alla ricerca, smart drugs) in un modo fresco ed accattivante.

Speriamo che il caro Sydney non “smetta” troppo presto.