A dieci anni dalla morte di Marco Pantani, la Procura di Rimini ha riaperto il caso sulla scomparsa del campione del ciclismo. L’ipotesi investigativa non è più quella originale di “morte come conseguenza accidentale di overdose”, ma quella di “omicidio volontario”. In sostanza il “pirata” sarebbe stato ammazzato.
Il fascicolo è stato affidato al pm Elisa Milocco ed è coperto dal segreto più assoluto. L’incartamento è stato iscritto nel registro delle notizie di reato e al momento non ci sono ancora persone indagate. La riapertura del caso è frutto sopratutto delle indagini difensive di cui Tonina Pantani, la mamma di Marco, ha incaricato, quasi un anno fa, l’avvocato Antonio De Rensis. Ma l’elemento che ha persuaso definitivamente il procuratore a partire con la nuova inchiesta, è la perizia medico legale eseguita per conto della famiglia Pantani dal professor Francesco Maria Avato, che alla fine del proprio lavoro conclude: “Le ferite sul corpo di Marco Pantani non sono auto procurate, ma opera di terzi”.
Pantani venne ritrovato la notte di San Valentino del 2004, intorno alle 22, all’interno della stanza D5 del residence Le Rose, di Rimini. La polizia entrò nella camera e lo trovò privo di vita. Da subito non ebbe dubbi. Era overdose. La stanza si presentava come se fosse stata travolta da un uragano. In giro, sparsa per il locale, cocaina. Le indagini furono veloci, 55 giorni. Un vero e proprio record.
Alla fine tutto, secondo la polizia e la procura, era chiaro: Pantani era arrivato a Rimini la sera del 10 febbraio. Da solo, in taxi, da Milano. Aveva pagato in contanti. Con sè non aveva bagagli, ma solo una sporta di plastica e un borsello con dentro i soldi. Si era fatto lasciare davanti alla casa dei suoi spacciatori che però erano assenti. Aveva dunque lasciato detto che li avrebbe aspettati nel residence lì di fronte. Aveva preso una camera e lì era rimasto per i successivi quattro giorni. Uscendo una sola volta per tornare dai pusher che gli avevano venduto 20 grammi di cocaina. Per il resto era rimasto lì dentro, da solo, e nessuno, secondo il portiere, era entrato o uscito di lì. Il 14 febbraio per due volte Pantani aveva chiamato la portineria chiedendo l’intervento dei carabinieri per «alcune minacce». Ma nessuno gli aveva dato ascolto.