Dopo oltre vent’anni dall’illustre antesignano, torna su grande schermo il gioco dell’oca più pazzo di sempre.
Jumanji!
Non dovrebbero essere necessarie presentazioni per Jumanji, il film del 1995 con Robin Williams, ma per quei due rinoceronti albini che non hanno mai visto la pellicola cult: nel film, Williams, Bonnie Hunt e due giovanissimi Kirsten Dunst e Bradley Pierce vengono coinvolti in un gioco tanto stupido quanto letale: tiri il dado, la pedina si muove automaticamente sul tabellone, leggi la disgrazia appioppatati per il turno e cerchi di sopravvivervi in modo che il prossimo possa giocare il proprio turno. A dirla tutta, Jumanji è uno di quei film invecchiati maluccio, che rivisto in super-giga-marò-definition mostra in tutta la loro pezzenteria gli effetti (poco) speciali degli “orrori” usciti dal gioco, ma al tempo delle VHS fece un discreto botto, diventando un cult per un’intera generazione di bimbi.
Fast-forward ad oggi, Sony dopo due decenni (quasi, Zathura anyone?) ha tirato fuori il titolo dall’armadio delle licenze, ci ha ficcato dentro Dwayne - The Rock - Johnson, Jack Black, Kevin Hart e Karen Gillan (la Nebula dei Guardiani della Galassia), ha dato una spolverata di pseudo-retrò e l’ha ambientato ai giorni nostri.
Il risultato? Meno becero di quanto ci si poteva aspettare.
Welcome to the Jungle
Jumanji: Benvenuti nella Giungla è un sequel “light” del glorioso predecessore. I fan del capostipite troveranno qua e là sparsi vari riferimenti al film originale, ma il concetto di gioco da tavolo viene abbandonato entro i primi cinque minuti e sostituito da una console retrò che, accesa, proietta i giocatori nel magico mondo di Jumanji. L’escamotage, in sé semplicistico, viene sfruttato bene nel film: al contrario della pellicola originale, in cui i giocatori interpretano sé stessi, qui i teenager protagonisti (in realtà si vedranno per poco più di mezz’ora su schermo) proiettati nel gioco assumeranno le fattezze dei ben più famosi attori citati sopra. Body-swap a parte — come c’era da aspettarsi, foriero di buona parte delle battute (per lo più riuscite) del film —, ogni personaggio del gioco avrà propri punti di forza e di debolezza, rendendo la collaborazione tra di essi necessaria, dando spazio al tradizionale momento di “crescita” in cui, teenager molto diversi tra loro, vengono spinti ad accantonare le proprie divergenze per aiutarsi l’un l’altro.
Tutt’altro che accessorio, il fatto che Jumanji sia un videogioco diventa il principale motore del film, capace tanto di prestare una spalla comica — si vedano le gag ricorrenti sul comportamento da robot (in gergo, scriptato) dei “personaggi non giocanti” del mondo di Jumanji, utili solo a progredire nei livelli del gioco — quanto di sorreggere il film — un esempio su tutti, le meccaniche di respawn (resurrezione) di un personaggio, che non vengono solo usate per farsi una risata, ma per far procedere, con senso, la trama.
L’elemento che più distanzia questo film dall’augusto antesignano è la forte divisione tra il mondo di Jumanji e quello reale, la cui contaminazione aveva dato vita alle situazioni più memorabili dell’originale. La cosa passa però in secondo piano, grazie soprattutto ad un montaggio dinamico al punto giusto e alle ottime interpretazioni di Gillian, Hart, Black e Johnson, che qua danno reale prova di quanto un attore consumato riesca a passare dal drammatico al comico e tornare al drammatico in un batter di ciglio, senza rompere la tensione del momento. Una lezione spesso dimenticata dagli ultimi blockbuster Disney (sì, sto parlando con te, Thor). Menzione d’onore va a Johnson, la cui fisicità esagerata e il finto-fascino da fustacchione sorreggono metà delle gag del film.
Come scrivevo, becero, ma fatto straordinariamente bene.
Jumanji!