Con Ad Honorem, la saga dei ricercatori ricercati giunge al meritato finale.
Ad Honorem
Storia del passato-presente-corrente, nel 2014 Sidney Sibilia esordiva
con la propria opera prima, Smetto Quando Voglio, in cui un manipolo vario e variegato di ricercatori, capitanato dal neurobiologo Pietro Zinni, costituiva una banda di spacciatori di smart-drugs, finendo in un turbinio di soldi, risate, armi, risate e prostitute (e risate). Col secondo capitolo della saga uscito a inizio 2017, Masterclass, i ricercatori passano dalla parte dei “buoni”, aiutando l’ispettrice della narcotici Paola Coletti a consegnare alla giustizia 30 concorrenti produttori di smart-drugs. Benché anche Masterclass bissi e raddoppi la dose di riso del primo episodio, al tempo della sua recensione lo paragonai (colle dovute pinze del caso) ad un “Impero Colpisce Ancora”, per i toni (e sopratutto il finale) cupi.
Pur usciti ad un anno di distanza, Masterclass e Ad Honorem sono fratelli perché girati all’unisono, tecnicamente: in back-to-back. Come nei capitoli precedenti, anche Ad Honorem riprende la storia dove l’aveva abbandonata la pellicola precedente. La banda di ricercatori beccata e beffata al Tecnolpolo al posto dei veri produttori della smart-drug Sopox, con la rivelazione che, in realtà, Sophox non è altro che S(O)=P-O[X], un potente gas nervino prodotto dal “cattivo” incontrato durante l’assalto al treno di Masterclass. In Ad Honorem si scopre che il nome del cattivo è Walter Mercurio (Luigi Lo Cascio), ex-ricercatore che dopo un incidente al già citato Tecnopolo (in un super-omaggio strappalacrime — e a ruoli invertiti — di Watchmen) decide di esigere la propria vendetta su un sistema che sa solo “far pagare chi ha già pagato”. A Pietro e al resto della banda toccherà tentare il tutto per tutto, evadere dal carcere e sventare il piano scellerato di Mercurio.
Ad Honorem tiene alto il nome della trilogia, inanellando nella sua ora e mezza (è il più corto dei tre) il tradizionale rosario di battute, pur presentando la trama più oscura dell’intera saga e legando con Sapienza (ah-ah) le trame che da quattro anni aspettavano di essere intrecciate in un unico ordito. L’unica pecca è per un finale forse troppo affrettato e volutamente aperto. Che fosse un effetto voluto? Chissà, magari nel futuro a Sydney verrà in mente come riportare i suoi ricercatori (e il loro universo) sul grande schermo.