I ricordi di quelli che non c’erano
23 Settembre 1944. Primo giorno d’autunno.
L’eccidio di Sassoleone. Una virgola, nell’imponente testo della Storia, ma è proprio la sua dimensione personale che permette a ognuno di noi di confrontarsi con essa. Rivelando, nella sua modestia, quanto facilmente date e numeri della Storia riescano a dissolvere l’umanità dietro ad essi.
È proprio per dare una visione più vicina, reale e tangibile che la pellicola di Massimo Bacchi e Alessandro Lanzoni — già autori di Accadde a Sassoleone e Il Mare a Sassoleone — si sposa coi testi e la voce di Enrico Vagnini, in “Il Primo Giorno d’Autunno”.
La pellicola, classificabile come “documentario storico”, prende subito commiato dalle soporifere produzioni di categoria. Scordatevi i pistolotti su “Tizio che incontrò Caio in data x/y per incontrare Mevio il giorno z”. Qui ci sono la vita, le esperienze, i dubbi, le vigliaccherie e il coraggio di quei giorni.
Proprio perché la dimensione dell’evento lo permette, gli autori parlano a tu per tu con lo spettatore. Come in una di quelle serate grige ed uggiose della Valle del Santerno, davanti ad un caldo bicchiere di vin brulé. Una foto. Un racconto. Un attimo di silenzio, spontaneo, perché ognuno, inevitabilmente, quando deve confrontarsi con esperienze così forti, è portato a pensare a sé, ai propri cari, a quanto sia inaffrontabile, col raziocinio di oggi, la tensione, la paura e la miseria della Guerra.
Dopo 70 anni, chi fossero i vinti e i vincitori, i buoni e i cattivi, è ancora un tema scottante e “partigiano”. Ognuno vuole dare la propria lettura. Tanto radicato è il retaggio che, da allora, riesce a modificare l’attuale percezione dell’Oggi. Ma come dicono gli autori:
Ognuno di noi, così come ricorda, dimentica.
Organizza i ricordi a suo piacere.
Smonta e rimonta i fatti.
Ogni guerra lascia ferite difficili da rimarginare. E proprio perché non si vuole perdere il ricordo, queste ferite le si riapre. Genitori, fratelli, parenti, amici. Ognuno di quelli che “c’erano” possono raccontare di aver perso un pezzo di loro stessi in quel conflitto. Dandone una propria lettura. Cambiati per sempre dall’inumana orologeria della Guerra.
Una verità difficile da mandare giù, abituati, per mancanza di tempo e voglia, ai toni bicolore dell’epopea storica.
La pellicola, che dura meno di mezz’ora, gode di una maestosa fotografia in continuo andirivieni tra i toni grigi del passato e gli sgargianti colori della Valle di oggi. Unica pecca, se proprio se ne vuole trovare una, riguarda la parte più “concitata” del racconto: verso metà film la narrazione, fino a quel punto dinamica, si appesantisce di nomi e luoghi e tende a far smarrire lo spettatore che li sente per la prima volta. Un problema a cui si potrebbe ovviare avendo a disposizione degli attori da associare a quei nomi e quegli eventi, ma, considerando il budget disponibile — il progetto è autofinanziato dagli autori —, il risultato finale è encomiabile.
Di positivo c’è che, proprio la voglia di “capire meglio”, porta a rivedere la pellicola, cogliendone aspetti facilmente passati in secondo piano ad una prima visione e che al contrario varrebbe la pena considerare con una mentalità diversa, una volta assodata la trama principale.