Il Canto del Cigno di Wolverine. Lacrime e, finalmente, sangue!
Logan
In matematica, un punto fisso di una funzione è un elemento mappato in sé stesso. Da 17 anni a questa parte Wolverine/Hugh Jackman è stato il punto fisso dell’universo cinematografico degli X-Men. Nel carnet dell’artigliato canadese si contano i film della prima trilogia degli X-Men, passando ai due (e con questo Logan, tre) spin-off Le Origini e The Wolverine — L’immortale, arrivando fino ai più recenti First Class, Giorni di un Futuro Passato e Apocalypse.
Riassumendo la scomposta trama della saga degli X-Men di celluloide, sempre più vicina all’incasinamento cosmico della controparte cartacea, col viaggio nel tempo di Giorni di un Futuro Passato vengono cancellati gli eventi dei primi 3 film insieme a buona parte di quelli raccontati nei due spin-off sull’artigliato. Quando uno dice “molto rumore per nulla”. Infine, il recente Apocalypse, pur aggiungendo poco all’economia della storia personale di Wolverine, con la sua scena post-credits ha provveduto ad un sibillino assist per questo Logan.
Quindi. Che succede in Logan?
Il Migliore in Quello che Fa
Anche se la frase del titoletto è spesso attribuita (nei fumetti) al canadese inRazzoso, in Logan, il migliore in quello che fa è Hugh Jackman. All’ultima interpretazione del ruolo che l’ha proiettato nel firmamento di Hollywood, Jackman riesce a ritrarre il Wolverine più umano e appassionato di sempre. Un vero e proprio “canto del cigno” che, insieme ad un altro attorone del calibro di Patrick Stewart/Professor Xavier, da solo vale il prezzo del biglietto al cinema.
Ma andiamo, in ordine, con la trama del film. 2029. Logan vive nel deserto dell’Arizona con un inaspettato Calibano (visto in Apocalypse) e l’ormai novantenne Charles Xavier. I Nostri hanno visto giorni migliori: l’artigliato, coi poteri di guarigione decimati e il male interiore di chi ne ha viste veramente troppe, sbarca il lunario come autista, facendo la spola col Texas per procurarsi le medicine necessarie ad evitare che Xavier, affetto da (ironia della sorte) una malattia neurologica degenerativa, sciolga le menti dei poveri astanti, diventando lui stesso vittima del proprio potere incontrollato. Benché l’obiettivo di Logan sia racimolare i quattrini necessari per comprare una barca e salutare il mondo civilizzato per un ultima, gloriosa cavalcata navigata coll’inseparabile professore, l’incontro inaspettato con una bimba di nome Laura scompaginerà piani e previsioni.
Senza rivelare (e rovinare) ulteriori dettagli della trama — che richiama alcuni elementi della saga fumettistica “Old Man Logan” — posso dire con certezza che Logan rende finalmente giustizia sia a Jackman che al personaggio di Wolverine/Logan. Fortemente voluto con secchiate di sangue e improperi da Jackman (tanto da abbassarsi lo stipendio), finalmente Logan, in quelle poche e centellinate scene, presenta il Wolverine che tutti i fan hanno sempre aspettato di vedere su schermo: violento e sanguinario, capace di ridurre in brandelli una gang di ladri d’auto tagliando crani, rompendo ossa e ripitturando l’asfalto color cremisi. Un fatto che, da solo, ripaga dei due spin-off precedenti, la cui anemia aveva fatto storcere il naso ai fan di mezzo mondo.
A quanto sopra, aggiungeteci una storia — confezionata da quello stesso Man(i)gold del risibile “The Wolverine” — che eccelle nel bilanciare momenti delicati e personalissimi (Patrick Stewart. Brividi!) a azione, smembramenti, improperi e sarcasmo più nero. Un piccolo, prezioso gioiello che, malgrado segni il commiato di pilastri portanti della saga come Jackman e Steward, consacra nel mito quegli stessi attori e personaggi che, 17 anni fa, hanno contribuito a creare il mondo del cinema e dei fumetti così come oggi lo conosciamo.