Ultimo di una (fortuita) trilogia marzolina di articoli sulla presenza dei robot (fisici e virtuali) nelle nostre vite (gli altri due articoli li trovate qua e qua).
In questo caso torniamo a prendere in considerazione un tema caldo: la paura che i robot rubino il posto lavoro alle loro controparti umane. La tematica ha già fatto capolino sull’Atomo del Male, considerando il prossimo futuro, quali sono i lavori più a rischio, e quali politiche si potrebbero mettere in campo per mitigarne gli effetti sulla società.
Quello riportato in quest’articolo è invece un recente studio di MIT e Boston University che, considerando il decennio 1997–2007, conferma una congettura allarmante: i posti di lavoro occupati dai robot non vengono rimpiazzati da sufficienti nuove posizioni disponibili, incrementando i ranghi dei disoccupati e riducendone al contempo le possibilità occupazionali.
Nel dettaglio, lo studio considera l’economia statunitense e suggerisce che, in media, per ogni robot che rimpolpa le fila dei lavoratori meccanici, circa 5 persone perdono un’opportunità lavorativa. Se raffrontato all’economia, emerge che, per unità di 1000 lavoratori, ogni robot aggiunto riduce i salari di una percentuale tra il 2,5‰ e il 5‰. Per dare una prospettiva ai dati riportati, è importante valutare che, nello stesso periodo interessato, il numero di robot impiegati in industria è quadruplicato.
Le cifre riportate non sono particolarmente catastrofiche, ma è il trend che proiettano ciò che ha fatto suonare i campanelli d’allarme di associazioni e analisti. Ricordiamo infatti che lo studio guarda un dato del decennio ‘97–‘07, epoca nella quale l’introduzione dell’automazione faceva passi importanti ma era ben lungi dall’attuale velocità di adozione di nuove tecnologie da parte dell’industria.
Traducendo le parole degli autori “se la diffusione dei robot procede come previsto dagli esperti nel corso dei prossimi due decenni, le implicazioni future dell’aggregato della diffusione dei robot potrebbe essere molto più consistente”. Inoltre, notando gli effetti negativi sulla maggior parte degli impieghi, gli autori continuano: “com’era prevedibile, le principali categorie che subiscono cali sostanziali sono quelle impiegate in lavori manuali ripetitivi quali operai, operatori e addetti al montaggio, macchinisti e trasportatori”.
Se da una parte questi dati possono essere molto preoccupanti, dall’altra è necessario comprendere che il progresso non può essere arrestato. Consci del fatto che i robot sostituiranno i lavori pericolosi, umili e degradanti, persone e governi si devono attivare per mettere in campo politiche sociali (tanto di sostengo quanto di valori trasmessi) per riqualificare e sostenere finanziariamente i lavoratori, ad esempio predisponendo piani di reimpiego verso categorie lavorative dove la componente umana è fondante, come la sanità o l’istruzione.